Ricordando mons. Giovanni Battista Pinardi
Un profilo di uno dei personaggi chiave della storia della chiesa torinese del Novecento

«Pier Giorgio Frassati aveva una fede viva e una grande pietà eucaristica: era lieto quando poteva servire Messa e partecipare alle adorazioni notturne. Avrebbe rinunziato alle gite piuttosto che lasciare la Messa». Tra gli uomini di Dio c’è consonanza spirituale. È il caso del servo di Dio Giovanni Battista Pinardi e del beato Pier Giorgio Frassati.
Giovanni Battista Pinardi nasce il 15 agosto 1880 a Castagnole Piemonte, al «ciabot dél luv, casolare del lupo» da una famiglia di agricoltori. Elementari al paese; ginnasio nel Collegio salesiano «San Carlo» di Borgo San Martino (Alessandria); filosofia nel Seminario di Chieri; teologia nel Metropolitano di Torino; nel 1902 è dottore in teologia, il 28 giugno 1903 il cardinale arcivescovo Agostino Richelmy lo ordina sacerdote con 51 compagni nella chiesa Immacolata Concezione (Arcivescovado), la stessa dell’ordinazione di Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Federico Albert, Giovanni Maria Boccardo, Pio Brunone Lanteri, Luigi Balbiano. Convitto della Consolata con i beati Giuseppe Allamano e Luigi Boccardo; viceparroco a Carignano; dal 15 dicembre 1912 parroco a San Secondo: il suo ingresso inaugura l'illuminazione elettrica della chiesa, vescovo ausiliare dal 1916 e parroco fino alla morte.
Nelle tragiche due guerre mondiali e nella dittatura fascista non manca agli appuntamenti con la storia: incoraggia a vincere l’odio. Si impegna per i soldati e i profughi tanto che il procuratore del re lo elogia «per l'opera pietosa, fattiva e patriottica prestata, utili iniziative nelle scuole, nelle istituzioni di beneficenza a favore dei profughi, orfani, prigionieri di guerra, nelle corrispondenze con i militari al fronte e nelle ricerche dei dispersi». Lavora all’accoglienza dei profughi armeni.
Lo straripante Pier Giorgio Frassati ha una fede adamantina, nonostante la famiglia borghese e indifferente al fatto religioso; un Cristianesimo ilare e impegnato; un’acuta sensibilità democratica che lo spinge ad avversare la violenza, i soprusi, il fascismo. Credente controcorrente, laico nella Chiesa, cristiano nel mondo, non stupisce che sia assunto come «modello».
Pinardi e Frassati, con modalità diverse, sono esempi di coerenza. Nel settembre 1921 l’universitario è a Roma tra 60 mila a festeggiare il 50° della Gioventù cattolica: fermato, in Questura recita il rosario. Vorrebbero liberarlo perché figlio del senatore Frassati. Rifiuta: o tutti o nessuno. Una squadraccia fascista devasta il circolo Fuci «Cesare Balbo»: quasi per reazione Pier Giorgio diventa terziario domenicano con il nome di «fra Girolamo», in omaggio all’intrepido predicatore fiorentino Savonarola. All’amico Antonio Villani scrive: «Che si ponga fine a uno scandalo così grosso come il movimento fascista. Spiego ancora le violenze che in qualche Paese purtroppo hanno esercitato i comunisti, almeno quelle erano per un grande ideale, quello di elevare la classe operaia sfruttata da gente senza coscienza. Ma i fascisti che ideale hanno? Il vile denaro. Agiscono sotto l'impulso della moneta e della disonestà». Definisce la «marcia su Roma» una «tragica ora».
Nell’ottobre 1923 per Mussolini a Torino, il circolo «Balbo» espone il tricolore. Lui è «veramente indignato» per «l’omaggio a colui che disfa le Opere pie, che non mette freno ai fascisti e lascia uccidere i ministri di Dio come don Minzoni e lascia che si facciano altre porcherie e cerca di coprire questi misfatti mettendo il Crocifisso nelle scuole». Sul delitto Matteotti «il male si rivela nei suoi più nauseanti aspetti». Reagisce agli insulti degli squadristi contro una processione; mette in fuga i fascisti che fanno irruzione in casa. Scrive a Villani: «Abbiamo subìto una piccola devastazione dei porci fascisti. Noi fortunati che possiamo gloriarci di essere sempre stati contro questo partito, formato da un'associazione a delinquere, o ladri o assassini o idioti, il fascismo. Grido: W Matteotti, W la libertà, W la Democrazia cristiana. Abbasso alle tirannie».
Dopo la «marcia su Roma» il cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato, invita vescovi e parroci a«tenersi del tutto alieni dalla lotta dei partiti». Il 10 agosto 1923 muore il card. Richelmy. Nell’archivio pinardiano c’è il ritaglio del quotidiano «Il Momento» del 25 ottobre 1923: l’autorità ecclesiastica è assente dalla visita di Mussolini a Torino «in lutto per la morte di Richelmy non può partecipare, come non partecipa mai in sede vacante, a funzioni, ricevimenti, solennità».
Il 25 ottobre 1924 don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare, lascia l'Italia e va in esilio. Trascorre la notte a San Secondo, ospite di Pinardi. Di buon mattino celebra Messa e Pinardi lo accompagna a Porta Nuova fino alla partenza del treno. Anche per il congresso del Ppi a Torino al Teatro Scribe in via Verdi nell’aprile 1923 era stato ospite a San Secondo. L'opposizione di Pinardi non è partitica ma morale, ripudia discriminazione e odio di razza. Pastore mite e zelante, costituisce il Comitato per l'azione sociale cattolica; incrementa la«Mensa del povero» ; apre la «Casa del popolo»; è presidente della Società clero bisognoso e del Comitato per l'emigrazione; partecipa al Congresso Eucaristico nazionale di Genova. Il 4 maggio 1924 fa l’ingresso il nuovo arcivescovo Giuseppe Gamba: Pinardi è al suo fianco e Pier Giorgio, cappello fucino e guanti bianchi, regge il baldacchino. Il 20 giugno 1925 il giovane partecipa alla processione della Consolata e il 1° luglio è stroncato da poliomielite fulminante.
Mons. Pinardi fonda il «Segretariato per la buona stampa»; favorisce l’apertura della libreria cattolica; si impegna per la diffusione della stampa cattolica ma il quotidiano «Il Corriere» è soppresso «fino a nuovo ordine» perché antifascista. Alla morte improvvisa di Gamba, il 26 dicembre 1929, Pinardi è esecutore testamentario.
Il nuovo arcivescovo Maurilio Fossati non lo conferma provicario generale né vescovo ausiliare perché Pio XI gli dice: «A Torino avete un vescovo santo, ma bisogna lasciarlo nell'ombra per non avere problemi con il regime»: i fascisti lo avevano scritto sul «libro nero». Il vescovo-parroco presiede il Comitato delle ostensioni della Sindone nel 1931 e nel 1933.
Arriva la guerra. Pane, olio, zucchero sono razionati e distribuiti solo con la tessera: il 30 settembre 1941 la razione giornaliera di pane è ridotta a 200 grammi per persona. Dopo i bombardamenti il regime proibisce i funerali perché «influiscono sul morale della popolazione» e vieta ai giornali di pubblicare nello «stato civile» l'elenco dei morti. Il 1° dicembre 1943 il ministro dell'Interno Guido Buffarini Guidi ordina: «Gli ebrei nei campi di concentramento» ma la Chiesa protegge e difende gli ebrei. Nella guerra di liberazione Pinardi è tessitore di pace e di perdono, prega per le vittime e per la conversione degli uccisori. Il 14 ottobre 1944 scrive: «Incoraggiare è il dovere e l'occupazione di ogni ora. Quanto è estenuante confortare senza mai ricevere conforto, dare e mai ricevere». Racconta un testimone: «Nei giorni delle vendette mons. Pinardi, accompagnato dal sacrestano Pietro Fassio, fu l’unico a sfidare i cecchini che sparavano dalle finestre e dai tetti per benedire e comporre le salme».
Fossati apre e chiude la causa del giovane Frassati (1932-1935). Pinardi depone il 23 e 26 maggio 1933: «Per partecipare alle gite in montagna mi pregò di anticipare la Messa». Il pastore partecipa nel 1960 al pellegrinaggio Fiat a Lourdes e nel 1961 all’inaugurazione del palazzo delle Opere cattoliche. Il 2 agosto 1962 muore e nel 1999 il card. Giovanni Saldarini apre il processo canonico.
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