Preti piemontesi della Resistenza

Don Giuseppe Pollarolo coprì il corpo di Claretta Petacci in piazzale Loreto a Milano. Don Mario Caustico cadde nella strage di Grugliasco. Don Felice Pozzo cercò di salvare Cumiana dall’eccidio. L’arcivescovo di Torino cardinale Maurilio Fossati fu davvero il «defensor civitatis»

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don Giuseppe Pollarolo

A piazzale Loreto il 29 aprile 1945, durante lo scempio sui corpi di Benito Mussolini, dell’amante Claretta Petacci e degli altri gerarchi fascisti, si fece avanti un sacerdote alessandrino, cappellano dei partigiani, e con un gesto di pietà coprì il corpo di Claretta. Era don Giuseppe Pollarolo, un prete di frontiera che ha segnato la storia di Torino durante la guerra e nei decenni successivi. È uno dei numerosi e sconosciuti eroi preti piemontesi protagonisti della Resistenza al nazifascismo.

Mario Caustico (1913-1945) – L'eccidio di Grugliasco è una delle vicende più crudeli di tutta la Resistenza e tra le più gravi accadute in Piemonte, con quella di Boves nel Cuneese e quella di Cumiana. Nato a Caprioglio d’Asti il 14 settembre 1913, Mario Caustico entra tra i Salesiani ed è prete dal 3 luglio 1938. Svolge il ministero negli oratori salesiani di Avigliana, Torino-Valdocco, Cuorgè, Michele Rua-Torino. Su insistente richiesta dei partigiani della Valle di Susa e dietro invito del superiore don Luigi Ricceri – che diventerà rettor maggiore dei Salesiani (1965-1977) - è cappellano partigiano della V divisione del «Corpo volontari della libertà»: «Quando devo partire?». «Al più presto, domani stesso, se non hai nulla in contrario».

Il 25 aprile 1945 la 46ª divi­sione «Rinaldo Baratta» riceve l'ordine di presidiare la Fiat-Aeronautica. Il I reg­gimento tedesco dei Cacciato­ri delle Alpi marcia su Collegno e Grugliasco. Don Caustico si offre di andare a trattare con lo­ro ma il comandante gli straccia le credenziali e lo obbliga, con la bandiera bianca in mano, a marciare in testa alla colonna. A sera i nazisti saccheggiano Grugliasco e rastrellano uomini, giovani e ragazzi e li sottopongono a violenze e sevizie. Vani i tentativi del parroco don Giacomo Perino e padre Raimondo, superiore dei Maristi, «di ammansire il comandante, una vera belva, assetata di sangue, furiosissimo». La mattina del 30 aprile i prigionieri sono portati in piazza. Don Caustico è a piedi nudi, la talare insanguina­ta, il volto tumefatto per i pugni e le violenze. Divisi in tre gruppi, alcuni sono trascinati ai margini di un campo di segala. Vicino alla chiesetta di san Giacomo costringono il prete a scavarsi la fossa, ma don Ma­rio non ce la fa più. Incita i compagni al coraggio, al perdono, alla speran­za, alza la mano per un'ultima benedizione. Sono le 10,30 di lunedì 30 aprile 1945. Don Caustico era un vero prete che si sacrificava per gli altri.

Don Felice Pozzo (1904-1956) – Il parroco di Santa Maria della Motta di Cumiana racconta la terribile strage, che è raccolta nel prezioso volume di don Giuseppe Tuninetti «Clero, guerra e resistenza nella diocesi di Torino (1940-1945). Nelle relazioni dei parroci del 1945», Piemme, 1996. Il 9 settembre 1944 «altro rastrellamento. Vengono da me alcune donne piangenti per­ché mi rechi dai tedeschi a intercedere per i loro mariti presi come ostaggi. Vado immediatamente e parlando francese riesco a far libe­rare i sette uomini. Dopo il rastrellamento di novembre, mercé l'aiuto dei confratelli della San Vincenzo, posso distribuire denari e indumenti alle famiglie dei caduti». Il 30 dicembre 1944 i fascisti bruciano vivi i partigiani Gianni Daghero «Lupo», Giorgio Catti, Michelino Levrino. «Appena avvisato mi precipito; prego sui morti e poi, essendo tutti gli uomini nascosti, mi fermo ad aiutare le donne per salvare il grano, i mobili e la casa civile». Giorgio Catti (1925-1944), cattolico, nasce a Torino da modesta famiglia, iscritto all'Azione Cattolica, nel febbraio 1944 raggiunge i partigiani del «Gran Dubbione», guidati da Silvio Geuna e costituiti da giovani cattolici, parte della brigata Val Chisone. Al nome di Giorgio Catti è dedicato il Fondo storico sulla Resistenza nell'Archivio arcivescovile di Torino.

L’eccidio di Cumiana, 3 aprile 1944 - Il 1° nella piazza Vecchia di Cumiana i partigiani affrontano un reparto di SS italiane comandato da sottufficiali tedeschi: i partigiani portano via 32 prigionieri. Alle 14 il VII battaglione SS, con rinforzi giunti da Pinerolo e Torino, salgono in paese, setacciano l’abitato, bloccano 130 uomini e bruciano tre case. Inutili due giorni di intensi contatti fra i partigiani e il tenente SS Anton Renninger per arrivare allo scambio di ostaggi. I nazisti non attendono l’esito delle trattative e alle 17 fucilano 51 civili inermi e un partigiano. Ecco il drammatico racconto di don Pozzo: «Ritornavamo contenti e sereni dalla nostra missione e credeva­mo di poter annunziare la bella notizia ai compaesani quando, giunti all'ingresso del paese, ci imbattemmo nella macabra visione dei 51 fratelli barbaramente uccisi. I tedeschi non avevano aspettato l'esito delle trattative. Mentre i partigiani acconsentono a cedere, e tutto si sarebbe risol­to in bene, contro ogni norma di lealtà, i tedeschi troncano le trattative e fanno fucilare ostaggi innocenti. Io ero avvilito, annientato e sdegnato e dissi il mio sdegno e il mio dolore al coman­dante tedesco, che non mi rispose nemmeno. Quando scese la notte, feci richiesta che venissero concesse le salme alle famiglie, ma non ci fu nulla da fare. Con il cuore straziato accompagnai le salme al cimitero e a uno a uno salutai i miei cari figlioli spiritua­li, mentre cercavamo, al chiarore di una pila elettrica, di riconoscere i nomi dei morti. Il mio cuore non resse più e, sentendomi venir meno le forze, dovetti uscire dal cimitero e trascinarmi a casa. Erano le due di notte; da due giorni non vedevo cibo e mi sentivo mancare il cuore e i brividi della febbre. Pensando che altri ostaggi erano in mano ai tedeschi e sentendo che la situazione era ancora molto pericolosa, de­cisi di recarmi a Torino per parlare con il nostro cardinale arcive­scovo».

Don Pozzo raggiunge il santuario della Consolata dove il cardinale Maurilio Fossati (1876-1965), presiedeva una riunione dei vescovi piemontesi: «Immedia­tamente uscì e ascoltò addoloratissimo l'orrenda notizia, mi trattò da vero padre e mi disse che ci saremmo recati subito al comando della polizia all'Albergo Nazionale di via Roma. Fu ri­cevuto dapprima con freddezza. Ma poi, saputa la gravità delle cose e sentite le proteste e le raccomandazioni del pastore, il comandante assicurò che più nulla sarebbe stato compiuto contro Cumiana. La parrocchia fu la casa dell'orfano e il sostegno dei miseri. Il sacerdote è l'uomo della carità; non fa politica, fa del bene». Cumiana ha dedicato una via a questo coraggioso prete.

Giuseppe Pollarolo (1907-1987) – Sui fatti di piazzale Loreto a Milano racconta l’orionino don Ignazio Cavarretta, confratello di don Giuseppe Pollarolo: «Quel 29 aprile 1945 era una domenica. I partigiani convogliavano tutti in piazzale Loreto dove molti sfogavano su quei poveri corpi la rabbia con insulti e oscenità: Claretta era completamente denudata. Don Pollarolo, con il breviario alla cintola, si fece largo tra la folla, improvvisamente ammutolita: “Questo scempio non si deve vedere”. Si tolse uno spolverino nero e ricoprì la Petacci. Poche ore dopo tenne un vibrante discorso da “Radio Milano Libera” ed esaltò l'epopea della Resistenza: “Il cappellano che ha sentito sulla nuca il freddo della rivoltella tedesca e ha avuto dinanzi il plotone di esecuzione si raccomanda al popolo perché non compia vendette private, né si abbandoni a furori scomposti degni di ogni riprovazione. Lasciate che questo povero cappellano vi dia la parola d'ordine per la ricostruzione: collaborare tutti in uno sforzo intelligente, onesto e libero per tradurre in legge l'amore predicato da Gesù Cristo!”».

Conclude lo storico Tuninetti: «Diffuso, costante e determinante è stato l'aiuto dei sacerdoti ai partigiani, specie nelle zone montane e collinari. Per i sacerdoti il compito più arduo e rischioso, condotto sul filo del rasoio, fu quello della mediazio­ne tra partigiani e nazifascisti per lo scambio di prigionieri, per evitare crudeli rappresaglie contro civili e interi paesi. Marce debilitanti, umiliazioni, insulti, perquisizioni, percosse, car­cere e prese in ostaggio furono il prezzo pagato alla prepotenza e alla violenza dei nazifascisti. Riusciro­no a evitare rappresaglie e a salvare vite, assistettero giovani condannati a morte, benedirono le salme, sempre riservarono cristiana sepoltura alle vittime degli opposti fronti».

 

 

 

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