Pier Giorgio, novant'anni ieri e oggi

Come fu ricordato Frassati dai suoi contemporanei

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Pier Giorgio, novant'anni ieri e oggi

«I funerali di Pier Giorgio Frassati non potevano non essere e sono stati, nel sentimento unanime dei convenuti, i funebri di un giovane caro a Dio. È stato seguito nel suo ultimo viaggio da una folla di amici e d’ignoti, di gente senza nome e di persone notissime e illustri, sui quali tutti ha diffuso, nell’ora che non avrebbe potuto essere più triste, i riflessi di quella che era la sua consolata e armoniosa fede. Non è stata soltanto accompagnata una salma verso la terra: l’anima dell’estinto, viva più di quanto egli era vivo, alitava su tutti, si levava, tra i veli del pianto, al di sopra della sventura. La leggenda pia già fiorisce dalla morte di questo giovane e sarà ogni giorno più diffusa e più viva. Le opere ch’egli compiva in silenzio, con la sua scomparsa escono dal silenzio. Nascono i fiori della sua pietà così segretamente cristiana».

Novant’anni fa, Luigi Ambrosini (1883-1929), giornalista e scrittore, scrive su «La Stampa» del  7 luglio 1925 la cronaca dei funerali, celebrati nella chiesa parrocchiale della Crocetta il 6 luglio. La vera sorpresa - per il papà e la famiglia, per i credenti, per Torino «città laboratorio» di Antonio Gramsci e Piero Gobetti - fu la fol­la sterminata accorsa per quel giovane di buona famiglia stroncato da poliomielite fulminante a 24 anni, figlio di Alfredo Frassati, senatore del Regno, ambasciatore a Berlino, editore e direttore de «La Stampa». Mescolata ai nobili e ai borghesi, quella gente semplice arrivava dalle zone più povere, dalle case di ringhie­ra, dalle soffitte malsane con buglioli maleodo­ranti, dai sottoscala della società che quel ragazzone frequentava per portare conforto e aiuti ai più bisognosi trascinando car­retti e correndo negli angoli più nascosti.

Filip­po Turati (1857-1832), fondatore del Partito socialista italiano, sul giornale «La giustizia» 1'8 luglio 1925 inquadra perfettamente il messaggio lanciato ai contemporanei: «Era veramente un uomo quel Pier Giorgio Frassati, che la morte, a 24 anni, ghermì e rapì crudelmente, velo­ce come un ladro frettoloso. Ciò che si legge di lui è così nuovo e insolito, che riempie di riverente stupore anche chi non divideva la sua fede. Giovane e ricco, aveva scelto per sé il lavoro e la bontà. Credente in Dio, pro­fessava la sua fede con aper­ta manifestazione di culto, concependola come una mili­zia, come una divisa che si indossa in faccia al mondo, sen­za mutarla mai con l'abito consueto, per comodità, per opportunismo, per rispetto umano. Convintamente cattolico e capo della gioventù cattolica universitaria, sfidava i facili scherni degli scettici, dei volgari, dei mediocri, partecipando alle cerimonie religiose. Quando tutto ciò è manifestazione tranquilla e fer­ma del proprio convincimento, e non esibizione ostentata per altri scopi, è bello e onorevole. Era anzitutto un cristiano e traduceva le sue opinioni mistiche in vive opere di bon­tà umana, in atti costanti di pietà. Si può valutare diver­samente l'efficacia sociale della carità, ma non si può disconoscerne il pregio quan­do essa è esercitata con cuore puro, non come un narcotico o un diversivo o un preventi­vo, ma come un'assistenza immediata alla sventura».

È una pagina magnifica questa di Turati, che prosegue: «Questo giovane laurean­do in ingegneria, che non ave­va la frigida visione della conquista e lo sguardo - così diffuso tra i fortunati della vi­ta - del falco che spicca il volo alla rapina, ma l'occhio sere­no e dolce dell’uomo, che si sente accoratamente fratello. Ed era sano di spirito e valido d'animo e di corpo, amava il moto e i monti alti e la forza, strumento non di prepotenza, ma di giustizia e difesa del diritto; e quando la sopraffazione violenta entrò in casa sua, egli la respinse virilmente gagliardo. È un modello che può insegnare qualche cosa a tutti».

Pier Giorgio frequentò l’Istituto Sociale dei Gesuiti nell’antica sede tra via Arcivescovo e via Arsenale, in quegli anni frequentato da Mario Soldati (1906-1999) che racconta: «Il ricordo che ho di Pier Giorgio risale alla mia prima adolescenza. Ero più piccolo di lui; e quindi non eravamo compagni né amici. Lo vedevo al principio o alla fine delle lezioni, per le scale, per i corridoi, in cappella, o in cortile durante la ricreazione. Tuttavia, è strano, ho l'impressione vivissima del suo sguardo, e del suo sorriso; ho la certezza che egli li rivolse anche a me, che poi ero soltanto uno qualunque dei piccoli. Occhio nero ma scintillante, luminosissimo, sotto le sbarre nere e dure dei grossi sopraccigli e dei capelli all’Um­berto. Denti bianchissimi, forti: labbra che si aprivano subito, sempre, al sorriso».

La briosa narrazione dello scrittore e regista cinematografico-televisivo torinese continua: «Sapevamo che era un ragazzo studioso, pio, ammodo. I buoni padri non cessavano di proporcelo come esempio. Lo portavano, come si dice, in palmo di mano. E non soltanto per i suoi meriti. Ma perché la sua pietà aveva, dicevano, qualche cosa di straordinario, di quasi miracoloso: era la prova di un intervento eccezionale della Divina Provvidenza. “Il padre è il famoso senatore Frassati, un  miscredente, un ateo! Guardate un po'. E il figlio fala Santa Comunionetutte le mattine! Come può non essere verala Nostra SantaReligione. Ma pensate al dolore di Pier Giorgio. Promettete di fare un fioretto, su da bravi! Promettete di fare un fioretto prima di venerdì sera, perchéla Madonna Immacolataottenga da Nostro Signore la conversione del senatore Frassati! Promettete, nel vostro cuore, subito!”.

Ora, i compagni bravi, studiosi, religiosi, i compagni che i superiori propongono come esempio, sono sempre, per forza di cose, odiosi agli altri ragazzi. Figuriamoci in questo caso! Ebbene, no. Pier Giorgio, nonostante che i buoni padri facessero del loro meglio per rendercelo odioso, non ci fu mai, nemmeno in parte, nemmeno per un attimo, odioso. Egli, giovanissimo, per grazia naturale, toccava quella perfezione, mandava ad effetto quella che è, e sarà sempre, la massima ambizione di tutti gli uomini, specialmente più celebri e potenti: essere simpatici anche ai propri nemici.

 proposito di Pier Giorgio Frassati dovremmo sostituire alla parola “nemici” la parola “avversari”: perché suoi avversari, fin d'allora, ci sentivamo io e i miei com­pagni migliori, tutti, chi più e chi meno deliberatamente, ribelli alla educazione e offesi dalla troppo forte propaganda dei Padri. E lui, certo, capiva, o almeno sentiva questa avversione. Ma, forse per zelo apostolico, proprio per questo ci amava più degli altri, dei suoi amici, dei seguaci e dei palesi ammiratori, e per questo, ogni volta che il suo sguardo incontrava il nostro, ci sorrideva così cordiale e aperto. Vinse. Vinse tutto. Superò perfino la propria virtù, riuscendo, con una strizzatina d'occhi, a farcela dimenticare immediatamente ogni volta che lo incontravamo, e lui, di sorpresa, a bruciapelo, prima che noi lo potessimo dire a lui, diceva a noi con quel suo vocione e con quel suo accento largo, aperto, robusto, ben piemon­tese: “Ciao!”». 

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