Papa Francesco verso un governo collegiale-sinodale
Un governo collegiale per la Chiesa. È il grande insegnamento del Sinodo, appena finito. Le conclusioni sulla famiglia si avranno fra un anno, dopo il Sinodo ordinario «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» (4-25 ottobre 2015)

Dopo cinquant’anni di esperienza sinodale Papa Francesco appare sempre più determinato a varare una grande riforma: il passaggio una monarchia assoluta a una monarchia temperata, cioè a un governo sinodale-collegiale.
Il 1° aprile 2014 Francesco ha scritto una lettera al segretario generale del Sinodo, cardinale Lorenzo Baldisseri, in cui comunicava la sua decisione di elevare alla dignità episcopale mons. Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo. I media non hanno dato grande risalto, ma è uno dei documenti più importanti, di 600 parole, di questo scorcio di pontificato.
Usa espressioni solenni: «Avendo anch'io perscrutato i segni dei tempi, nella consapevolezza che per l'esercizio del mio ministero petrino, il Sinodo serve, quanto mai, a ravvivare ancor di più lo stretto legame con tutti i pastori della Chiesa»; riconosce «l'enorme bene» che i Sinodi hanno fatto alla Chiesa; dice che il Vescovo di Roma desidera «valorizzare questa preziosa eredità» perché «ha bisogno della presenza dei suoi confratelli vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza ed esperienza. Il successore di Pietro deve sì proclamare a tutti chi è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente" ma deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti partecipano a pieno titolo al Collegio apostolico»; si propone di «valorizzare la preziosa eredità conciliare costituita da questo organismo collegiale creato nel 1965 da Paolo VI per rendere più manifesto l’apprezzato servizio che l’organismo svolge in favore della collegialità episcopale con il Vescovo di Roma».
Cinquant’anni fa, il 15 settembre 1965 Paolo VI, «dopo aver scrutato attentamente i segni dei tempi e consapevole della necessità di rafforzare con più stretti vincoli l'unione del Vescovo di Roma con i vescovi che lo Spirito Santo ha costituito per governare la Chiesa», istituisce, con il motu proprio «Apostolica sollicitudo», il Sinodo, «uno sprone per tutti i vescovi a prendere parte alla sollecitudine del Vescovo di Roma per la Chiesa universale. I Sinodi hanno fatto conoscere gli imprescindibili contributi riguardanti i problemi e l'attività della Chiesa e hanno offerto al successore di Pietro un valido aiuto e consiglio per salvaguardare e incrementare la fede, per proporre l’integrità della vita cristiana, per consolidare la disciplina ecclesiale».
Giovanni Paolo II nel 1983 disse che lo strumento del Sinodo «potrà essere ancora migliorato» e che «la collegialità può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente». Prosegue Francesco: «Al fine di rendere più manifesto l'apprezzato servizio che l’organismo svolge in favore della collegialità episcopale con il Vescovo di Roma, ho deciso di conferire al sotto-segretario il carattere episcopale. Così il sotto-segretario, nella collaborazione con Vostra Eminenza (Baldisseri, n.d.r.), in virtù dell'Ordine episcopale, rispecchierà quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo. Anche nel coordinare il lavoro interno il sotto-segretario esprimerà la feconda e fruttuosa realtà che sgorga dalla partecipazione al “munus episcopale”, fonte di santificazione per quelli che lo circondano e fondamento della comunione gerarchica con il Vescovo di Roma, capo del Collegio episcopale, e con i membri del Collegio».
Già cinquant’anni fa in Concilio si pose il problema della «collegialità». La «Lumengentium», costituzione dogmatica sulla Chiesa, prima di essere approvata il 21 novembre 1964, fu sottoposta al Papa. Paolo VI era perplesso. Lo preoccupava il rapporto tra primato papale e collegialità episcopale. Il documento recitava: «Il Papa ha una potestà piena, suprema e universale sulla Chiesa universale» e il Collegio episcopale, «insieme con il suo Capo, il Romano Pontefice, è pure soggetto di piena, suprema e universale potestà sulla Chiesa». Paolo VI intuì il pericolo e fece redigere da un gruppo di teologi la «Nota esplicativa previa». Specifica che il Papa è il vicario di Cristo e detiene la potestà di governare la Chiesa in forma monarchica; che è il capo del Collegio episcopale e può scegliere una forma di governo collegiale. Si conferma il primato assoluto del Papa lasciando la porta aperta alla collegialità.
In questa porta aperta si è infilato Papa Francesco. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno governato con una monarchia assoluta ricorrendo ai vescovi secondo una «collegialità affettiva» ma non una «collegialità effettiva». Il Codice di diritto canonico al canone 342 definisce il Sinodo «un'assemblea di vescovi che si riuniscono in tempi determinati per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica».
Francesco fa il passo avanti: alla «collegialità affettiva» unisce la «collegialità effettiva»: «L'attività sinodale, in virtù dell’ordine episcopale, rispecchierà (rappresenterà) quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei vescovi». In Oriente si preferisce il termine «sinodalità», in Occidente «collegialità», vocabolo che deriva dal Diritto romano dove «collegio» indica una società di eguali. La «collegialità» non mina ma rafforza il «primato petrino». All’inizio del Concilio i vescovi bocciarono gran parte degli schemi preparati dalla Curia Romana sotto la presidenza del Papa. A chi lo metteva in guardia che avrebbe potuto perdere il controllo sull’assemblea, Papa Giovanni rispose con soavità: «Anche loro (i vescovi n.d.r.) hanno lo Spirito Santo».
Dall’inizio del pontificato Francesco ha indicato con chiarezza la sua «opzione preferenziale» per la «collegialità effettiva». Ora si capisce meglio la decisione presa appena un mese dopo l’elezione, il 13 aprile 2013: «Riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave, Francesco ha costituito un gruppo di cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica “Pastor bonus” sulla Curia Romana». Il Consiglio - composto da 8 cardinali dei vari continenti, ai quali si è aggiunto il Segretario di Stato Pietro Parolin - ha lavorato intensamente in questi mesi: esso va nella direzione della «collegialità».
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