Paolo VI e la guerra dei sei giorni, 50° 1967-5-10 giugno-2017

Una pagina di storia tragica in Medioriente e il ruolo della diplomazia vaticana e papa Montini  

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Paolo VI e la guerra dei sei giorni, 50° 1967-5-10 giugno-2017

Cinquant’anni fa, alle 13.55 del 7 giugno 1967, la Santa Sede diffonde un messaggio di Paolo VI: «Presumendo di mettere ordine e giustizia tra gli uomini, ecco una nuova guerra! Avremmo creduto di non mai più vedere una simile tragedia nella storia presente e futura dei popoli, dopo le terrificanti e, a giudizio dei saggi, inutili e assurde esperienze che, sempre più gravemente, già ben due volte in questo secolo gli uomini hanno inflitto a se stessi. La nostra generazione doveva ben sapere che cosa è la guerra, e che cosa può essere la guerra moderna. Ed ecco che pare dimenticata la sua terribile realtà, se ancora si ripone fiducia nella sua cieca e micidiale violenza.
Si sospendano i bombardamenti, e si riprenda il dibattito delle parole eque e ragionevoli».

Due giorni prima, alle 7.30 del 5 giugno, 183 caccia con la stella di Davide si alzano in volo e si dirigono verso il Mediterraneo. Dopo 18 minuti fanno inversione e, volando il più basso possibile per non essere intercettaci dai radar, prendono di mira 11 basi aeree egiziane. Bombardano e rendono inutilizzabili le piste di atterraggio; colpiscono i Mig di fabbricazione sovietica allineati sulle piste o chiusi nelle rimesse e ne distruggono 189; nei duelli aerei abbattono altri 8 caccia del Cairo. La seconda ondata, qualche ora dopo, ne distrugge altri 107. Annientati a terra in tutto 304 aerei da guerra su 419, l'80 per cento dell'aviazione militare egiziana. Israele perde un aereo. La terza ondata alle 12,45 attacca Siria, Giordania e lraq: i loro aerei avevano iniziato a colpire obiettivi israeliani. L'intera aviazione giordana, 28 caccia, è annientata; metà aviazione siriana, 53 caccia, fuori combattimento.

Scattae l'offensiva di terra, diretta sulla Striscia di Gaza e sul Sinai. L'Egitto combatte con i soli mezzi corazzati il «nemico sionista», che coordina gli attacchi di terra con un’efficace copertura aerea. Il 7 giugno, nel cuore della penisola del Sinai, lo scontro tra i due eserciti: dopo la seconda guerra mondiale, è la più grande battaglia di mezzi blindati, più di mille carri armati per ciascun belligerante. L’8 giugno l’esercito israeliano rag­giunge il canale di Suez, occupa Sharm El Sheikh e Gaza. La mattina dei 9 tutto il Sinai è sotto la stella di Davide. L'esercito israeliano comprende 250.000 uomini, tre quarti riservisti e un quarto coscritti. Gli eserciti arabi, formati da professio­nisti, sono di gran lunga più numerosi ma molto meno addestrati e meccanizzati.

La battaglia di Gerusalemme è la più cruenta. Gli israeliani conquistano la parte Est (araba) impegnando molti uomini, combattendo casa per casa e senza la copertura aerea per non di­struggere la città antica. Il 7 giugno sera Gerusalemme Est è interamente conquistata e annessa.  Nel 1980 Parlamento israeliano («Knesset») dichiara Gerusalemme «unita e indivisa capitale eterna di Israele». La «Guerra dei sei giorni» cambia radicalmente la fisionomia del Medio Oriente.

Le guerre arabo-israeliane iniziano il 14 maggio 1948, data della proclamazione dello Stato di Israele sulla base di una risoluzione dell'assemblea delle Nazioni Unite del 29  novembre 1947. Mossa dal rimorso di coscienza per il brutale «genocidio degli ebrei» nella seconda guerra mondiale, l’Europa appoggia la spartizione della Palestina con una parte di territorio agli ebrei, per la costituzione del loro Stato, e una’altra parte agli ara­bi-palestinesi per la costituzione del loro Stato. In più l’internazionalizzazione di Gerusalemme. Egitto, Giordania, Libano, Siria e Iraq non riconoscono Israele e tentano di invadere la parte del Negev assegnata agli ebrei. Scoppia così la prima guerra arabo-israeliana che si conclude con la firma di un armistizio tra Israele e i Paesi arabi nei primi mesi del 1949. Con questo scontro Israele sottrae agli ara­bi la Galilea, parte della Samaria e della Giudea, un’ampia zona di Gerusalemme, la porzione del Ne­gev che l'Onu aveva assegnata agli arabi palestinesi.

La seconda guerra israelo-palestinese scoppia il 29 ottobre 1956 mentre l’opionione pubblica è concentrata sull’eroica rivolta degli ungheresi contro l’Urss. Le ostilità sono aperte d Israele d’accordo con Francia e Gran Bretagna, che hanno inviato  truppe per riprendere il controllo del canale di Suez, dopo che il colonnello Nasser, presidente egiziano, aveva nazionalizzato la Compagnia.. Gli israeliani in pochissimi giorni giungono sulla riva orientale.

Alla successiva vittoria israeliana nella «guerra dei sei giorni» rispondono gli arabi dal vertice di Khartum del 26- 29 agosto 1967 con un triplice rifiuto: nessun riconoscimento di Israele, nessun negoziato, nessun trattato di pace. Il 22 novembre 1967, il Consiglio di sicurezza Onu approva la risoluzione 242 che fissa i capisaldi della futura pace: 1) l'acquisizione di territori con la guer­ra è inammissibile; 2) una pace giusta e duratura deve consentire a ogni Stato di vivere in sicurezza; 3) le forze armate israelia­ne devono ritirarsi dai territori occupati; 4) si deve porre fine a tutte le pretese e a tutte le situazioni di belligeranza, riconoscendo e rispettando la sovranità, l'integrità territoriale e l'in­dipendenza di ogni Stato e il diritto di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti; 5) la libertà di navigazione; 6) la giusta soluzione per i profughi palestinesi.

La Santa Sede appoggia subito l’internazionalizzazione di Gerusalemme. Con l’enciclica «In multiplicibus curis» (24 ottobre 1948) Pio XII invoca garanzie internazionali per assicurare «il libero accesso ai Luoghi Santi in Palestina, la libertà di culto e il rispetto delle tradizioni religiose e di costume». Nell’enciclica «Redemptoris nostris. I Luoghi Santi della Palestina» (15 aprile 1949) afferma «di fondamentale importanza che sia garantita la debita protezione e immunità a tutti i Luoghi Santi della Palestina, a Gerusalemme e nelle altre città e villaggi». Richieste accolte dal disinteresse internazionale. Allora Paolo VI e i suoi successori auspicano per Gerusalemme uno statuto speciale che garantisca il rispetto dei Luoghi Santi delle tre religioni monoteistiche: Ebraismo, Cristianesimo, islamismo.

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