Mons. D’Ercole: possono strapparci tutto eccetto l’umile coraggio della fede

Ad Ascoli Piceno i funerali solenni di 35 delle 50 vittime marchigiane del sisma. “E adesso che si fa? La fede ci indica come riprendere il cammino: con i piedi per terra e lo sguardo al cielo"

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Ad Ascoli Piceno i funerali solenni di 35 delle 50 vittime marchigiane del sisma. “E adesso che si fa? La fede ci indica come riprendere il cammino: con i piedi per terra e lo sguardo al cielo".

“Se per mano di un uomo è arrivata la morte, per mano di un uomo tornerà la vita”. “Abbiamo pianto e sofferto insieme. Ma adesso è il momento della speranza e della preghiera”. Con queste parole il Vescovo di Ascoli Piceno Mons. Giovanni D'Ercole ha introdotto la sua omelia al palasport di Ascoli Piceno, dove si sono svolti i funerali di Stato di 35 delle 50 vittime marchigiane del terremoto del 24 Agosto.

Alle spalle dell'altare, sulla parete, è stato posto proprio il Crocifisso che Mons. D’Ercole ha estratto dalle macerie della chiesa di Pescara del Tronto.

In prima fila ad assistere c’è il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, dopo la funzione, si è soffermato a salutare ed abbracciare uno ad uno i familiari delle vittime, i feriti e molti dei presenti. Alla cerimonia hanno partecipato anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Presidente del Senato Pietro Grasso ed il Presidente della Camera Laura Boldrini.

E adesso, Signore, che si fa?

“Cari amici - ha proseguito Mons. D’Ercole - mi rivolgo soprattutto a voi che siete diventati la mia famiglia: e adesso, vescovo, che si fa? Quante volte in questi giorni, amici miei, mi son sentito ripetere questa domanda. Dai familiari delle vittime; da chi si ritrova senza famiglia e senza casa; dai giornalisti in cerca di notizie; dai parenti e dagli amici nell’obitorio fra le salme che aumentano con il passare delle ore e dei giorni. Domande spesso solo pronunciate con il pianto e lo sguardo perso nel nulla. Esiste una risposta? Spesso l’unica è il silenzio e l’abbraccio”. “Questa stessa domanda – E adesso che si fa? – l’ho rivolta in queste interminabili giornate di commozione e di strazio a Dio Padre, suscitato dall’angoscia di padri, madri, o figli rimasti orfani, dall’avvilimento di esseri umani derubati dell’ultima loro speranza. E adesso, Signore, che si fa?. Quante volte, nel silenzio agitato delle mie notti di veglia e d’attesa, ho diretto a Dio la medesima domanda: a nome mio, a vostro nome, nel nome di questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra. Mi è venuto subito in mente l’avventura di Giobbe, questo giusto perseguitato dal male, profeta che mai s’arrese nel rinfacciare a Dio le sue domande”. “La polvere - ha osservato il Vescovo - è tutto ciò che è rimasto a questa gente, Signore, dopo la tragedia. Tutto sembra diventato polvere: il terremoto ha accomunato paesi fratelli da Amatrice ad Arquata, un tempo parte della stessa diocesi”.

Un intero pezzo di storia adesso non c’è più

A questo punto Mons. D’Ercole ha ringraziato il Vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, e l’arcivescovo de l’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi. “La sofferenza aquilana mi è bene nota”, ha aggiunto: “Un intero pezzo di storia adesso non c’è più. Polvere, nient’altro che polvere: la polvere che per Giobbe, dopo il dramma di una fatica disumana, diventa altare sul quale brilla la vittoria di Cristo”.

Dio pare tacere, ma non scappa dalle responsabilità

“Dio pare tacere - ha commentato il Vescovo - le nostre sembrano chiamate senza risposta” ma “Dio non scappa dalle responsabilità, il grido degli angosciati gli fa vibrare le viscere. Non teme l’imprecare dell’uomo, non s’arrabatta nell’ira”.

E se avrete perso ogni cosa, sarete ricchi se non avrete perso la fede

Mons. D’Ercole ha citato anche Guareschi: “C’è una pagina bellissima di don Camillo, che narra di una sera malinconica nella quale questo parroco dovette affrontare il dramma di un’alluvione che complicò terribilmente la speranza della sua gente: la porta della chiesa era spalancata e si vedeva la piazza con le case annegate e il cielo grigio e minaccioso.  - Fratelli - disse don Camillo - le acque escono tumultuose dal letto del fiume e tutto travolgono: ma un giorno esse torneranno placate nel loro alveo e ritornerà a splendere il sole. E se, alla fine, voi avrete perso ogni cosa, sarete ancora ricchi se non avrete perso la fede in Dio. Ma chi avrà dubitato della bontà e della giustizia di Dio sarà povero e miserabile anche se avrà salvato ogni sua cosa - ”.

Il ricordo delle vittime

Un silenzio composto ha accolto la lettura dei nomi dei defunti. Durante l’omelia il Vescovo Giovanni D’Ercole ha ricordato anche le due sorelline, Giulia e Giorgia: “La più grande, Giulia, purtroppo morta, ma ritrovata in una posizione protettiva su Giorgia, una bimbetta di scarsi cinque anni, che sembrava spaesata con la bocca piena di macerie. Morte e vita erano abbracciate, ma ha vinto la vita: Giorgia”.

La fede ci indica come riprendere il cammino

“Un terremoto è la fine, ma la nostra terra è popolata di gente che non si scoraggia. Mi rivolgo soprattutto a voi, giovani, che ben sapete che i nostri nonni erano contadini. È saggio dialogare con la natura e non provocarla indebitamente”. “I sismologi tentano di prevedere il terremoto, ma solo la fede ci aiuta a superarlo. La fede, la nostra difficile fede, ci indica come riprendere il cammino: con i piedi per terra e lo sguardo al cielo”.

“Amici tutti – ha concluso il Vescovo -, non abbiate paura, non vi lasceremo soli. Non abbiate paura di gridare la vostra sofferenza, ma non perdete coraggio. Insieme ricostruiremo le nostre case e chiese; insieme soprattutto ridaremo vita alle nostre comunità, a partire proprio dalle nostre tradizioni e dalle macerie della morte”.

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