Ma "l'Inquisizione" è stata sciolta davvero?

I libri all'indice, gli autori proibiti, una storia da raccontare

Parole chiave: sant'Uffizio (1), Inquisizione (1), papato (1), chiesa (665)
Ma "l'Inquisizione" è stata sciolta davvero?

Sembra incredibile, ma l’Inquisizione non è mai stata ufficialmente abolita. Cinquant’anni fa, il 14 giugno 1966, è stata lasciata cadere ed è finita di morte naturale. L’«Index librorum prohibitorum, Indice/lista dei libri proibiti» è l’elenco/catologo delle pubblicazioni proibite dalla Chiesa, libri la cui vendita, traduzione, conservazione, prestito e lettura sono proibiti.

Sin dalle origini la Chiesa lotta contro le eresie:  il primo Concilio di Nicea nel 325 proibisce le opere dell’eresiarca Ario (256-336) perché sostiene che Gesù non è Dio. Papa Sant’Anastasio I (399-401) condanna le opere di Origene (185-254). Nel 405  Sant' Innocenzo I (401-417) fa comporre una lista di libri apocrifi. San Leone I Magno (440-461) proibisce i testi manichei. Papa San Gelasio I  (492-496) condanna i libri «pagani».

Il grande storico gesuita Giacomo Martina (1924-1990) parla di «complessa legislazione sulla stampa: 1) Dal Cinquecento al Seicento in vari Paesi esiste solo la censura ecclesiastica, stabilita per qualsiasi libro di qualsiasi ar­gomento dal Concilio Lateranense V (1512-1517) e ribadita dal Concilio di Trento (1545-1563) nel 1547 per i libri sacri: le decisioni ecclesiastiche sono sanzionate dallo Stato. 2) In un secondo tempo lo Stato interviene nella censura e la competenza della Chiesa si restringe alle materie religiose».

Nel 1549, a opera di mons. Giovanni della Casa (1503-1556), autore del «Galateo overo de’ costumi», la Serenissima Repubblica di Venezia pubblica un Catalogo di diverse «opere, compositioni et libri, li quali come eretici, sospetti, impii et scandalosi si dichiarano dannati et prohibiti in questa inclita città di Vinegia»: 149 titoli tacciati di eresia perché opere di teologi protestanti. Potenza dei soldi: la proibizione non è applicata per l'opposizione di tipografi e librai.

L’«Index» o «Indice paolino» è creato nel 1558 dalla Congregazione della Romana e Universale Inquisizione sotto Paolo IV (155-1559). Pena la scomunica «nessuno osi scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant'Uffizio».

Lo storico olandese Joseph Lortz (1887-1975) nella «Storia della Chiesa nello sviluppo delle sue idee» scrive: «Paolo IV non mancò di buoni intendimenti, ma la sua decisione non raggiunse lo scopo. Il suo esa­gerato fanatismo nell’annientare le eresie usando la maniera forte, la competenza indiscriminata concessa all'Inquisizione – che perseguiva pure il sacrilegio, l’immoralità e la simonia - resero sterili i suoi grandi desideri di riforma. L’”Indice” era di una severità impossibile. Dopo la sua morte fu abrogato».

Tra i compiti del Sant’Uffizio, istituito nel 1542 da Paolo III (1534-1549), è compresa la vigilanza e la soppressione dei libri eretici, compito affidato a una commissione di cardinali, finanziariamente indipendente dalla Curia romana. Vi finiscono tutte le edizioni della Bibbia nelle lingue volgari. Vi finiscono letterati, scienziati, filosofi italiani e stranieri.

Per sottolineare le stramberie della Chiesa, sotto i fulmini dell’Inquisizione cadono opere illustri di autori ancora più illustri: i commentari sul Concilio di Basilea (1431-1445) di Enea Silvio Piccolomini, nientemeno che Papa Pio II (1458- 1464); il « De Monarchia» (1312) di Dante Alighieri (1265-1321) che difende l'autonomia del Comune di Firenze dalle pretese di Bonifacio VIII (1294-1303); « De principatibus, Dei principati, Il principe» (1513) di Nicolò Macchiavelli (1469-1527). Sembra incredibile, ma l’«Indice» risparmia «Mein Kampf» di Adolf Hitler e in compenso fulmina «Delle cinque piaghe della Santa Chiesa» di Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), grande personaggio che la Chiesa dichiara beato il 18 novembre 2007.  L’unità d’Italia dal 1861 e la fine dello Stato pontificio nel 1870 privano l'Inquisizione del braccio secolare. L’ultimo Papa che rinverdisce l’«Indice» è Pio X (1903-1914) che il 29 giugno 1908 trasferisce l’Inquisizione alla Congregazione del Sant'Uffizio. Il Codice di Diritto Canonico pio-benedettino promulgato da Benedetto XV (1914-1922) nel 1917 al canone 1399 prevede 12 categorie di libri.

Tutto cambia con il Concilio Vaticano II (1962-1965), che Giovanni XXIII (1958-1963) e Paolo VI (1963-1978) tengono lontano da ogni condanna. L’abolizione dell'Indice è invocata da un solo padre conciliare, Wilhelm Kempf, vescovo della tedesca Limburg, che però non riesce a farla mettere in discussione. Ma tutti i padri conciliari – e i loro «periti», come il 35enne professore tedesco Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI (2005-2013) – chiedono a gran voce la riforma della Curia. Il 7 dicembre 1965, alla vigilia della chiusura, Paolo VI con il motu proprio «Integrae servandae» cambia nome – diventa Congregazione per la dottrina della fede – compiti e regolamento del Sant’Uffizio. Il 14 giugno 1966 il cardinale Alfredo Ottaviani, «carabiniere di Dio», avverte che l’«Indice» «non ha più forza di legge ecclesiastica».

Cultura e società

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