L'Amore che salva e i volti della sofferenza, un convegno internazionale a Torino nei giorni dell'Ostensione

Con un duro monito sul diritto alle cure che non deve essere appannaggio dei ricchi, mons. Nunzio Galantino ha dato via il 22 maggio a tre giorni di convegno internazionale di Pastorale della Salute organizzato dalla diocesi di Torino, dal Centro Camilliano di pastorale della salute di Torino, dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza, dall'Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio Fatebenefratelli. La riflessione di mons. Nosiglia, gli interventi del cardinale Zimowski e dell'arcivescovo Forte e del priore di Bose, Enzo Bianchi (fotogallery)

Parole chiave: Galantino (3), cure (4), Sindone (73), salute (25), pastorale (60), diritti (17), malati (12)
L'Amore che salva e i volti della sofferenza, un convegno internazionale a Torino nei giorni dell'Ostensione

I segni della sofferenza impressi sulla Sindone, rimando al dolore della Passione e richiamo alla realtà di fatica e sofferenza affrontata quotidianamente da malati e disabili. Un richiamo che il Segretario Generale della Cei, mons. Nunzio Galantino ha trasformato in severo monito contro le politiche che penalizzano gli ammalati che manifestao e accrescono il divario tra ricchi e poveri. Questo lo spirito con cui si è aperto il 22 maggio a Torino il convegno internazionale «L'amore che salva. Dal volto del sofferente ai volti della sofferenza»: tre giornate di confronto e dibattioto promosse dalla diocesi subalpina, dal Centro Camilliano di pastorale della salute di Torino, dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza, dall'Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio Fatebenefratelli. 

L'Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia ha ricordato come 

"Pensando ai luoghi della sofferenza, mi vengono in mente subito gli ospedali, le case di cura, i pronto soccorso, ma anche tanti luoghi dove si consumano sofferenze profonde di tipo interiore e non solo fisico, soprusi e miserie umane, spirituali e sociali di emarginazione. Come quando si parla di “periferie”, si intendono anche quelle antropologiche ed esistenziali, non solo geografiche, così i luoghi della sofferenza non sono solo quelli materiali, ma pure quelli antropologici che coinvolgono la persona che soffre.     Per questo guardo a Gesù e mi chiedo: quali luoghi della sofferenza ha incontrato e in essi ha dato vita a quell’Amore più grande che ha donato speranza e coraggio a tanti che lo hanno invocato e seguito?"

Mi pare - ha proseguito Nosiglia - che il primo e più importante luogo che Gesù abita, cerca, accoglie e gestisce nel modo più umano e coinvolgente è la persona, ogni persona ammalata e sofferente. Cito solo due esempi del Vangelo. Il primo, è quello del cieco che grida sulla via di Gerico: «Abbi pietà di me, Figlio di Davide» (cfr. Mc 10,46-52). Grida, ma la sua voce è soffocata da tante altre che circondano Gesù e sembrano impedire ogni possibilità di ascolto. Erigono una specie di muro che impedisce la relazione tra Gesù e quel poveretto. Invece, Gesù si ferma e ascolta quel grido, lo sente nel cuore e quindi chiama quell’uomo; poi, avvia con lui un dialogo coinvolgente e sentito, una relazione di cuore, fino a donargli la vista come lui desidera e quindi rispondere al suo grido con l’amore che salva, guarisce e libera".

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"Scandali e corruzione sono sempre deprecabili – ha sottolineato mons. Galantino - ma lo sono ancora di più quando si toccano gli ambiti della sofferenza: fare soldi sui poveri - e i primi poveri sono coloro che non possono contare sulla propria salute - è un peccato doppio, si ruba il doppio. Il momento in cui si tocca con mano lo scarto tra ricchi e poveri è proprio il momento della cura, non tanto a tavola dove mangiare astice o pesce azzurro ti fa vivere lo stesso, ma nel fatto che spesso chi ha soldi può curarsi e chi non li ha non può». E ancora non bisogna dimenticare che il tema delle risorse finanziarie per la salute non può rientrare in una dinamica di profitto:”I tagli – ha ricordato – sono figli degenere della cultura dell'efficienza a tutti i costi, di chi non vuole accettare che il limite, la fragilità e la malattia fanno parte della nostra storia". "Purtroppo l'Italia rischia di essere una nazione con poca memoria e poca attenzione ai problemi seri.Ci sono tante attenzioni lodevoli, però poi quando si scarta chi non ha voce, anche gli interventi lodevoli finiscono per essere realtà non accettabili. C'è bisogno di risorse che purtroppo quando ci sono vengono dirottate altrove".

Parole che hanno animato la riflessione proseguita con gli interventi i mons. Zygmut Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori Sanitari, di padre Angelo Brusco, direttore del Centro Camilliano di Formazione di Verona e di mons. Bruno Forte Vescovo di Vasto-Chieti.

«Una riflessione a più voci – ha sottolineato don Marco Brunetti direttore dell'Ufficio di Pastorale della Salute della diocesi di Torino – proprio per richiamare l'attenzione sul mondo della sofferenza, per favorire il passaggio dalla contemplazione della sofferenza testimoniata dalla Sindone al quella vissuta quotidianamente da tanti ammalati».

«Più facile è parlare di sofferenza – ha sottolineato mons. Zimowski - più difficile è unire la propria sofferenza con quella di Cristo; dobbiamo essere buoni samaritani: la società che non accetta la sofferenza e i sofferenti è crudele, noi dobbiamo essere umani».

Un approccio questo che non può mai farsi schiacciare dal peso del dolore ma restare aperto a quei sentimenti che il silenzio e il buio della Sindone preparano. “ Il cristianesimo – ha sottolineato mons. Forte – non è la religione del trionfo del negativo me è e resta nonostante tutto la religione della speranza. Il Volto del sofferente guarda lontano, lì dove nessuna visione mondana può giungere”.

La sofferenza non viene da Dio ma dalla nostra condizione umana, dal male che siamo capaci di compiere volontariamente o involontariamente”. Lo ha affermato Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, intervenendo alla seconda giornata del convegno internazionale “L’Amore che salva - dal Volto del Sofferente ai volti della sofferenza” in corso a Torino.

“Affermare che il Signore ci fa soffrire per il nostro bene o per farci espiare le nostre colpe - ha proseguito - è dire una bestemmia”. “Il circolo peccato-castigo divino-sofferenza-morte è stato spezzato da Gesù che ha svelato il volto di un Dio che vuole la vita del peccatore”, ha sottolineato Bianchi per il quale “non si dica che la sofferenza serve alla nostra purificazione e redenzione o neppure che bisogna offrire la propria sofferenza per Dio, perché questi ‘consigli spirituali’ sono una scorciatoia teologica”.

Piuttosto “bisogna offrire a Dio la propria vita, che contiene anche la sofferenza”, ha proseguito il priore di Bose secondo cui “il grande aiuto nella malattia non è la guarigione ma il vivere da cristiani, amando fino alla fine come ha fatto Gesù”. “Nel volto della Sindone vediamo la sintesi di tanti uomini e donne sofferenti. È il volto dei perseguitati, dei malati, degli anziani, dei giovani disabili. Incontrandoli, baciate quei volti come invitava a fare il Cottolengo”, ha concluso Bianchi. 

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