Il lavoro è vita e dignità

Intervista al card. Severino Poletto – Il ricordo della tragica notte della Thyssen, l’occupazione, Torino che cambia, chiesa e città futura

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Il lavoro è vita e dignità

Il tema del lavoro è posto dai cittadini torinesi come la priorità del presente e del futuro. Giovani, adulti, donne, famiglie soffrono di mancanza di opportunità nella città industriale oggi diversa che ha bisogno comunque di dare nuove opportunità. Abbiamo ascoltato il cardinale Poletto, arcivescovo emerito e guida della Diocesi dal 1999 al 2010, nel periodo più impotante della trasformazione dell’identità del nostro territorio. Lavoro che non c’è e tragedie che si sono consumate in questi anni. Ricordi e memoria a partire dalla tragedia della Thyssen del 2007.

La recente sentenza definitiva sulla tragedia della Thyssen-Krupp di nove anni fa ci riporta alla memoria il suo impegno pastorale, spirituale e umano e le sue parole ai funerali di tutte e sette le vittime. Un ricordo e soprattutto un monito perché il lavoro sia simbolo di vita e di emancipazione e non di lutti.

La tragedia avvenuta nove anni fa alla Thissen-Krupp, tempo in cui ero ancora Arcivescovo di Torino, mi ha profondamente toccato nella mia coscienza di pastore, di cristiano e di uomo. Il mio dovere, ma anche la mia sensibilità pastorale mi ha portato a celebrare le funzioni funebri di tutti sette gli operai deceduti nel terribile incendio avvenuto in quella fabbrica. Quattro morti hanno avuto le esequie insieme, nella chiesa Cattedrale, e poi ho avuto modo di visitare gli altri tre che erano ricoverati negli ospedali della città e di confortare i parenti. Purtroppo però anche per loro, man mano che sono morti in pochi giorni, ho celebrato le funzioni funebri nelle loro Parrocchie. Questa tragedia ci deve far riflettere sull’importanza che ha la sicurezza nei posti di lavoro. E’ un dovere che tutti devono sentire: imprenditori, sindacalisti e operai. La recente sentenza di condanna dei responsabili mi offre l’occasione per ribadire che la persona viene prima del lavoro e che il lavoro è per la persona. Io credo che Torino in quella occasione abbia vissuto grande commozione e partecipazione a questa immane tragedia, ma nello stesso tempo anche un sussulto di responsabilità per sentire come i nostri lavoratori, che con il sudore della loro fronte si guadagnano il pane quotidiano, hanno diritto ad essere tutelati sul posto di lavoro.  Non sta a me commentare le sentenze, ma indubbiamente posso dire che quella per me, come Arcivescovo di Torino, è stata una pagina molto dolorosa che mi ha profondamente toccato nella mia missine di pastore che deve sempre annunciare la verità a difesa dei diritti di tutti. Voglio sperare  che quanto è successo sia servito di richiamo e di insegnamento per tutti così che là dove le persone vanno per guadagnarsi il pane, non debbano poi fare i conti con pericoli per la loro incolumità, per la loro salute e per a loro stessa vita.

Il lavoro come espressione della dignità di ogni uomo e donna, come scriveva San Giovanni Paolo II nella Laborem Exerces (1981). Come oggi pensare al lavoro per  giovani (tanti sono quelli che non lo cercano più) e molti adulti 50enni che si trovano estromessi dal ciclo produttivo.

Già il Concilio, conclusosi oltre cinquanta anni fa, nel 1965, nella Gaudium et Spes sottolineava questa grande verità: ‘L’attività umana come deriva dall’uomo così è ordinata all’uomo. L’uomo infatti, quando lavora non modifica soltanto le cose e la società ma anche perfeziona se stesso, perché realizza e manifesta le sue capacità creative modificando la materia e producendo dei beni utili alle persone’.  Indubbiamente quindi, il lavoro non è solo una fonte di sostentamento per le persone ma anche espressione della loro creatività e intelligenza. Quello che oggi preoccupa molto la nostra situazione italiana, e in parte anche europea, è questa lunga crisi del mondo del lavoro che qui da noi si sta, da molto tempo ormai, prolungando. C’è un’alta percentuale di disoccupazione giovanile che da troppo tempo si è stabilizzata. Quando manca per i giovani la prospettiva di un lavoro viene a cadere la possibilità di progettare il proprio futuro. Un lavoro e un reddito sicuro permetterebbero a molti giovani di costruirsi una famiglia stabile, di avere un reddito sufficiente per procurarsi un’abitazione per una vita di famiglia serena e armoniosa. Molti giovani vivono ancora legati ai loro genitori perché non trovano la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro, altri vanno all’estero a cercare una occupazione. Di questi ultimi quasi tutti sono qualificati per lavori di ‘eccellenza’, lasciando così l’Italia più povera di cervelli.

Io credo che nella nostra nazione, ma anche a Torino e in Piemonte sia arrivato il momento di fare una seria riflessione su quanto sta accadendo: stiamo vivendo una stagione di sbilanciamento che provoca una crescita di anziani rispetto a un calo demografico, perché le famiglie nuove non si costituiscono e la gioia per gli sposi di poter generare dei figli è minacciata da situazioni di insicurezza che durano da troppo tempo. Indubbiamente tutti cercano spiegazioni generali di fronte alla constatazione che stiamo vivendo un momento di crisi, ma le crisi vanno affrontate con maggior coraggio anche correndo qualche rischio. In questi giorni ho avuto l’occasione di partecipare all’inaugurazione di un nuovo Centro Direzionale di un Azienda torinese che ha milleseicento dipendenti e ho visto come chi è responsabile e proprietario abbia davvero coraggio e molta inventiva ed inoltre molta capacità di sognare ‘in grande’. Bisogna sperare di più, bisogna saper creare anche realtà nuove guardando avanti e non solo rimpiangendo un passato che non torna più.

Torino sta pagando ancora lo scotto di una crisi della più grande industria manifatturiera della città, che ha prodotto un arresto generale a Torino e in tutto il Piemonte, dove c’erano tante piccole e medie aziende che erano cresciute come “indotto produttivo” per questa grande Industria che tutti conosciamo, e che ora sono in difficoltà se non addirittura chiuse.

 Dobbiamo augurarci che presto finisca questa situazione di attesa così che anche la realtà di Mirafiori torni a un ritmo completo di occupazione, non solo eliminando per sempre la cassa integrazione, ma anche ampliando l’occupazione per l’assunzione di nuovo personale così che il ricambio generazionale possa dare ai giovani una prospettiva di più grande speranza.

Nella sua esperienza episcopale a Torino ha attraversato periodi di profonda crisi e il passaggio dalla città fabbrica alla città del terziario e dell’innovazione. Resta però il grande assente per molte, troppe persone e famiglie, il lavoro. Quali sono i segnali che registra per il futuro?

Ho già detto quali sono state le conseguenze di questa lunga crisi della nostra più grande industria e delle tante aziende che lavoravano in collegamento con essa, ma ora mi pare di scorgere segnali di speranza. C’è da augurarci che chi ha la responsabilità di aziende piccole o grandi, dimostri nei fatti una volontà di innovare e di intraprendere nuove possibilità di produzione in modo che ci possa essere una parola di fiducia per tante famiglie, come ho detto prima, e per i giovani, soprattutto. Comprendo che  le leggi del mercato sono condizionanti per i programmi di coloro che svolgono la grande missione di imprenditori, ma ritengo che chi ha avuto dal Signore doti e capacità imprenditoriali, ha il dovere di metterle al servizio della società non fermandosi a visioni  circoscritte e miopi, ma cercando senza paura di allargare gli orizzonti e di tentare strade nuove. Torino deve tornare ad essere la grande città industriale che abbiamo conosciuto trenta - quarant’anni fa così che il periodo di crisi, che non è soltanto di Torino ma di tante altre città, possa essere superato.  Mi ricordo che l’Avvocato Agnelli alla fine della sua vita aveva già intravisto i primi segnali di crisi della sua Fiat, però si esprimeva sempre,  fino agli ultimi suoi giorni, con parole di speranza e di fiducia per il futuro. Molto tempo è passato, dal 2003 anno della sua scomparsa, e questi segnali di ripresa, almeno qui da noi, hanno ancora bisogno di diventare più chiari e convincenti. Tutti insieme ci dobbiamo sentire responsabilizzati su questo importante versante del lavoro: le istituzioni civili, i responsabili delle aziende e anche la comunità cristiana. Abbiamo tutti il dovere di far convergere un comune sforzo per creare fiducia e dare più serenità alle famiglie, perché la crisi, anche se è reale, tocca a noi affrontarla e risolverla con tutti i mezzi che sono a nostra disposizione.

Chiedo al Signore che illumini coloro che sono direttamente coinvolti in responsabilità produttive e dia loro un supplemento di coraggio, speranza e fiducia affinché Torino torni ad essere una città non solo ricca di una profonda tradizione cristiana, con i suoi numerosi Santi sociali, ma anche più coraggiosa nell’innovare nuove realtà produttive così che si possa guardare al futuro con più serenità.  Dobbiamo dare un messaggio di fiducia a tutti ma nello stesso tempo  chiedere a chi ha responsabilità decisionali di creare le condizioni affinché ci sia finalmente un’accelerazione dei tempi per una ripresa che segni veramente la svolta per il futuro.

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