Il grido degli ultimi è nelle cronache

Famiglia, giovani e poveri sono le priorità indicate da mons. Nosiglia all'assemblea diocesana: la riflessione del cappellano del carcere minorile torinese a partire dalla morte di Sara, morta per overdose di eroina a 16 anni

Il grido degli ultimi è nelle cronache

Oggi tutto si consuma, nulla che duri nel tempo. È la liquidità che si divora le persone, le notizie, anche le tragedie. Tutto livella e rende uguale. E così in pochi giorni anche la notizia di Sara, la ragazza morta di overdose a 16 anni nelle periferie di Roma, è sfumata, divorata da altre notizie. È rimbalzata sui «social» per pochi giorni, con qualche «condividi». Abbiamo altro cui pensare: il referendum sulla riforma costituzionale che il premier ci rammenta ogni giorno anche se mancano ancora alcuni mesi alla consultazione; nelle grandi città ci sono i ballottaggi con i candidati che si combattono a suon di slogan,  numeri e promesse; poi c’è lo spauracchio della Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue). Infine ci sono gli Europei di calcio (che poca cosa l’Europa ricordata solo per il  calcio)...

Ma la ragazza sedicenne morta per overdose di eroina in un’ala di un ospedale dismesso della capitale, sta lì a ricordarci che, purtroppo, l’eroina è confinata in quella sterminata periferia tutta uguale dove «oggi non urla più nessuno». È confinata in un sottomondo che ci rifiutiamo di guardare, dove vivono non «le menti migliori, ma i nuovi miserabili della nostra società». (Paolo Fallai, Corriere della sera, venerdì 10 giugno).

Ma il dolore della madre a cui la ragazzina scriveva: «Sei l’amore della mia vita», che ricorda «La mia Sara era una ragazza libera, vivace certo, ma libera… Eravamo legatissime, lei era una brava ragazza. Mi scriveva sms nei quali mi ripeteva che mi voleva bene. Era il mio amore…», beh, è questo dolore che ci prende nel profondo. Mi prende, mi addolora, come educatore, come salesiano, come prete cappellano nel carcere minorile della nostra città, che in tanti anni ha visto, ascoltato, cercato di farsi prossimo alle storie dei ragazzi, delle ragazze, delle famiglie. Anche lì storie di mamme sole che con sacrifici immensi tentano di colmare, di mettere a tacere i loro sensi di colpa. Sentono o adesso pensano di non aver fatto tutto il possibile per quei loro ragazzi che stanno in galera. Sì è a quella mamma che sto pensando, il suo dolore, mi fa sentire impotente, ma anche molto arrabbiato.

È mai possibile che solo di fronte a notizie così tragiche ci ricordiamo che ci sono tanti ragazze e ragazze delle nostre periferie reali o di quelle «esistenziali» come le chiama papa Francesco dei quali, anche come Chiesa, ci siamo dimenticati, abbiamo fatto finta di non vederli? Non voglio fare l’esperto sulla diffusione delle vecchie e nuove droghe, del consumo smoderato e letale di alcool da parte dei giovanissimi. Spetta forse ad altri più esperti, più di me con le mani in pasta. Ma la conoscenza di tante storie sbatte sempre il muso sulla solita domanda, di certo non retorica, come qualcuno vorrebbe far credere: cosa hanno fatto le istituzioni per sostenere queste famiglie, quali politiche giovanili in questi anni hanno sostenuto, supportato, dato gambe?

Papa Francesco parlando ai disabili, domenica 12 giugno, ha detto: «se il prete non accoglie tutti chiuda la porta della Chiesa». Come Chiesa non ne siamo fuori. L’Arcivescovo Nosiglia nella conclusione dell’assemblea diocesana di venerdì 10 giugno ha richiamato tre priorità: famiglia, giovani e poveri per una chiesa di Torino che sia veramente in uscita secondo il monito di papa Francesco.

Il mese di giugno è tempo di ordinazioni sacerdotali, diaconali. Ricordo che in una delle preghiere eucaristiche si recita: «Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli». Mi pare che a volte siamo così presi dai nostri programmi, dalle nostre agende, dalla cura esagerata di noi stessi, che manco abbiamo gli occhi per vedere. Sì, perché vedere è la prima tappa verso la prossimità, la cura, la presenza discreta ed efficace e, per dirla con il mio fondatore e padre, san Giovanni Bosco, educativa.

* cappellano del «Ferrante Aporti» di Torino

 

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