Frassati, il beato nelle parole dei Papi del Novecento e oltre

Da Pio XI a Francesco tutti i pontefici in particolare Paolo VI e Giovanni Paolo II che lo beatifico nel maggio 1990 hanno indicato come modello il giovane torinese

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Frassati, il beato nelle parole dei Papi del Novecento e oltre

«C’è qualcuno qui ch’io vedo e non si vede… eppure è presente». Un attimo di esitazione. Poi la platea dei giovani capisce, si scioglie, applaude fragorosamente. Il 1° settembre 1959 al Teatro Alfieri di Torino il cardinale arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini tiene la prolusione al 35° congresso nazionale della Fuci e parla di Pier Giorgio Frassati: «Devo vincere una tentazione, una specie di incantesimo: quella di stare a guardare e di cercare con l’occhio il volto d’uno studente bello e vigoroso di Torino, di cui in questi anni la gioventù nostra ha studiato i lineamenti e meditato la virile bontà, come un modello, un fratello ideale. Si riaccende in noi, ammirando questa figura di giovane, il desiderio dell’imitazione, dell’emulazione; ci conforta la certezza che una giovinezza forte e limpida è possibile e vicina; cresce nel cuore l’interiore anelito verso una superiore bontà».

I Papi sono tutti «stregati» da Pier Giorgio, a cominciare da Montini, anche se i due non si sono mai conosciuti. Pier Giorgio, nato a Torino il 6 aprile 1901, è militante entusiasta nell’Azione Cattolica, negli Universitari cattolici, nella San Vincenzo, nell’Apostolato della preghiera, nell’Adorazione notturna, nel Partito Popolare ed è fiero oppositore del fascismo. Muore di poliomielite fulminante, a 24 anni, il 4 luglio 1925. Montini nasce a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897, sacerdote dal 29 maggio 1920, entra in Segreteria di Stato ed è assistente della Federazione universitari cattolici italiani (Fuci). Arcivescovo di Milano dal 1954 e cardinale dal 1958, è eletto Papa il 21 giugno 1963. Negli appunti per una commemorazione del 1928 su Pier Giorgio, don «Gibiemme» dimostra di averne compresa la levatura umana, morale, cristiana: «È un semplice. Il fascino dei complicati non dura». Nel discorso pronunciato il 3 luglio 1932 a Torino nella chiesa della Crocetta, Montini dice: «Ricco di questa forza, Pier Giorgio è moderno e giovane. È per questo che tutta la sua vita è dominata da una ferma coscienza di rinno­vamento, d'azione, di milizia. È per questo che un capitolo della sua vita s'intitola: «La gioia di vivere». Il Cristianesimo è un'esaltazione della vita vera. La carità è stata la sua suprema professione cristiana, l'ultimo sforzo. Il Cristianesimo è la forza della vera giovinezza. Pier Giorgio ci dice come possiamo guardare senza spavento e senza ostilità l'abbagliante potenza del secolo nostro, non maledicendo la cose ma dominando noi stessi. Ci dice quale bellezza, quale forza, quale giovinezza germoglino nella umile schiera delle nostre associazioni, quando quelli che vi appartengono v'infon­dono ciò che vi cercano, dànno ai compagni ciò che da essi richiedono, attuano il programma da cui sono diretti, vivono l'idea che v'è annunciata».

Anche dietro le pressioni del professor Giuseppe Lazzati, rettore dell’Università Cattolica, del cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino e dell’episcopato subalpino – riuniti nel 1975 al santuario di Oropa nel 50° della morte di Pier Giorgio - il 20 gennaio 1977 Paolo VI sblocca la causa per la beatificazione, ferma dal 1941 per assurde dicerie. Giovanni Paolo II dichiara beato Pier Giorgio il 22 maggio 1990 in una straordinaria celebrazione in piazza San Pietro. Il cardinale Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, prima di essere eletto, conia la definizione più calzante: «Studente delle otto beatitudini». Benedetto XVI ne parla numerose volte. Anche Papa Francesco nell’incontro con i giovani in piazza Veneto il 21 giugno 2015cita il beato torinese, davanti alla cui tomba si era fermato in Cattedrale dopo la lunga sosta orante davanti alla Sindone: «Se volete fare qualcosa di buono nella vita,come diceva Pier Giorgio Frassati ‘Vivete, non vivacchiate’». Pier Giorgio all’amico Isidoro Bonini il 27 febbraio 1925 scrive: «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere».

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