Quale legge?

L'intervento del giurista e docente di diritto costituzionale alla LUMSA

Parole chiave: unioni civili (11), legge (39), matriomonio (2), famiglia (86)
Quale legge?

Il dibattito sulle «unioni civili», che il ddl Cirinnà intende introdurre nell’ordinamento italiano, viene spesso presentato come un’alternativa radicale, fra il nulla giuridico in cui le relazioni affettive tra persone dello stesso sesso si troverebbero attualmente e una disciplina compiuta che verrebbe introdotta con la nuova legge. Questa alternativa, però, è troppo schematica, in quanto sottovaluta un dato di fatto nel quale il dibattito deve essere situato: già oggi le relazioni omosessuali sono del tutto libere e non esistono impedimenti né giuridici né di fatto a chi voglia intraprendere una relazione stabile di questo tipo. Oltre che da una libertà, queste relazioni sono inoltre protette dal principio di non discriminazione, atteso che già attualmente nessuno può essere discriminato dai poteri pubblici per il fatto di intrattenere una relazione stabile di questo tipo. Queste garanzie si basano sulla generale libertà di fare ciò che la legge non vieta e sul diritto al rispetto della vita privata. Non è tutto, ma certo non è poco, e spesso si sottovaluta quanto il costume, in Italia e nel mondo occidentale, si sia modificato su questo terreno nell’arco di pochi decenni.

Ciò di cui oggi si discute non è dunque di riconoscere questa libertà (che per quanto concerne il diritto individuale di entrare in una relazione affettiva stabile con una persona del proprio stesso sesso esiste già pienamente), ma di accordare un riconoscimento specifico e formale alla coppia, e al diritto a costituirla formalmente. Si intende dunque regolare non tanto i diritti individuali quanto quelli della formazione sociale “coppia omosessuale”, con una disciplina che estenderebbe a questa fattispecie alcuni diritti che normalmente conseguono al vincolo matrimoniale.

E’ chiaro che il ddl Cirinnà muove, al riguardo, da una doppia ispirazione: estendere alle coppie gay che contraggano unioni civili (non a quelle che invece decidano di rimanere nello stato – che resterebbe libero – di coppia di fatto) alcuni diritti che derivano dal matrimonio, ma non tutti. Il dibattito concerne soprattutto la quantità e la qualità dell’estensione di tali diritti. Se vi è un consenso abbastanza esteso sull’estensione di alcune garanzie di tipo patrimoniale (in materia ereditaria o di reversibilità delle pensioni, ad es.) e di alcune facoltà relazionali (il diritto all’assistenza ospedaliera da parte del partner), la questione più controversa riguarda la c.d. stepchild adoption. Quest’ultima consentirebbe al partner di una unione civile di adottare il figlio biologico dell’altro partner. Coloro che si esprimono in favore di questa soluzione sostengono che in tal modo si tutelerebbe pienamente l’interesse del minore adottando ad avere due genitori pleno jure, dando rilevanza giuridica alla paternità e alla maternità affettiva, oltre che a quella biologica e ritengono che la circostanza che in seguito a ciò si determinerebbe una situazione in cui un bambino avrebbe due madri o due padri sia irrilevante, non essendo provato che ciò sarebbe nocivo per la crescita del minore.

I contrari, fra i quali ci collochiamo, sostengono invece che da un lato l’ordinamento italiano (la Costituzione in primis) non tutela genericamente l’interesse del minore nell’adozione, ma specificamente l’interesse a crescere in un contesto caratterizzato dalla presenza di due genitori di sesso diverso, considerando, secondo tradizione, l’adozione come un istituto ispirato all’imitazione della famiglia naturale. Una seconda ragione di contrarietà deriva dalla preoccupazione di legittimare indirettamente due pratiche che per l’ordinamento italiano resterebbero vietate (il divieto è attualmente previsto dalla legge n. 40/2004): vale a dire la fecondazione assistita eterologa per donne single o per coppie di donne e la maternità surrogata. Il figlio da adottare mediante la stepchild adoption sarebbe infatti, il più delle volte, un bambino nato dal ricorso, all’estero, a queste tecniche vietate nell’ordinamento italiano e la stepchild adoption rischierebbe di configurarsi come un nome elegante per riconoscere una frode alla legge, consentendo con una mano ciò che resterebbe vietato con l’altra.

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