Boves: la casa di spiritualità un nuovo inizio per le coppie in crisi

Nasce nel 1997 dal duuplice sogno di Maria Grazia e Umberto Bovani, recuperare uno spazio abbandonato e metterlo al servizio degli altri

Parole chiave: famiglia (86), crisi (35), comunità (43), accompagnamento (2)
Boves: la casa di spiritualità un nuovo inizio per le coppie in crisi

C’è una casa nel bosco dove le coppie in crisi possono provare ad incontrarsi di nuovo. E’ a Boves, dove le stradine salgono verso le montagne di Cuneo. Stanze attaccate al santuario di Sant’Antonio, immerse nel verde e colme, in questi giorni splendidi d’autunno, nei colori rossastri, gialli, arancio degli alberi. Si chiama casa di spiritualità domestica. L’hanno voluta, tanti anni fa, Maria Grazia ed Umberto. L’hanno chiesta all’allora vescovo monsignor Liprandi. Ora è lì, come sospesa, a pochi chilometri dal santuario della Madonna di Fontanelle, a qualche centinaio di metri da «Stella del mattino», la struttura che Franco, uomo di Dio, ha voluto per alleviare le sofferenze degli uomini.

Vi si accede attraverso una strada di erba e pietre, i profumi intensi, lo svolazzare dei passeri, la profondità del silenzio. Una coppia che si mette al servizio di altre, magari con qualche crepa incipiente o le smagliature dell’età, del tempo, delle paure, delle vittorie e delle sconfitte della vita. «Come è nata? Da una sfida, quella di chi come noi ha percorso le vie della spiritualità di sant’Ignazio. Volevamo capire se ai laici è possibile offrire, nella condivisione, una visione della vita particolare, essenziale, autentica». Umberto Bovani parla come un fiume in piena, ma con la chiarezza delle parole che nascono da una vita vissuta. Intorno c’è la tranquillità di una «tenda aperta nel mezzo della vita». Si sentono i rumori del bosco, si vedono i cani che scorrazzano, si coglie l’essenzialità di una scelta che coinvolge, forma, produce serenità cosciente. Ci sono i tre figli da andare a prendere a scuola, ai bus, da seguire nei compiti, nelle lezioni, da portare a musica. Ma è bello. E’ un posto dove poter riscoprire, nella domestica sensibilità delle cose normali, il respiro di una vita autentica, limpida, genuina, lontana dal frastuono pur tra il compito di dover portare il figlio a chitarra o danza.

Offrono week end di pace a famiglie che ne hanno bisogno. Sono credibili perché ‘come gli altri’. Lui professore di lettere al liceo musicale, lei di arte. Dunque con parole ed immagini cercano di capire i problemi degli altri. Magari osservando i messaggi di un dipinto di Chagal o i riflessi armoniosi di un crocefisso. I corsi privilegiano tempi di riflessione personale e in coppia. Il metodo è semplice ed essenziale: individuare problematiche fondamentali della vita relazionale ed affettiva, provare a cogliere come la vita personale interagisca con quelle problematiche, condividere con l’altro il narrare della propria esperienza dando spazio al dialogo e soprattutto all’ascolto. Il fine dei corsi è sempre quello di darsi del tempo per fermarsi e riconsiderare alcune priorità e ripartire nella vita quotidiana con maggior slancio e vigore.

Tutto nasce nel 1997 da un sogno di due persone (che poi diventeranno marito e moglie). Un sogno che aveva un duplice intento: recuperare uno spazio abbandonato ma che avesse una storia spirituale, proporre dei percorsi di spiritualità incentrati su una stretta relazione con la vita ordinaria. La Diocesi di Cuneo, nelle persone del Vescovo Mons. Aliprandi, del Vicario generale Mons. Agamennone e del parroco di Boves don Gianni Riberi, crede e dà fiducia a quel sogno che passo dopo passo diventa realtà. L’esperienza è nata dalla matrice della spiritualità di S. Ignazio e in particolare dalla pratica degli esercizi spirituali. Per questa ragione il centro vede la collaborazione di alcuni gesuiti con i quali c’è una profonda sintonia di intenti e finalità.

Arrivano le prime coppie. Si riesce, con contributi delle banche e di privati, a ristrutturare i locali, deserti da anni di Sant’Antonio. Prendono forma due saloni dove possono convivere cinque-sei nuclei familiari per un fine settimana nel quale si alternano momenti di silenzio ad altri di esperienze. Cosa manca di più alle coppie di oggi? «La calma, la possibilità di fermarsi, nel vorticoso rincorrersi delle ore per parlare, per capire, per riscoprire com’è che ci si è messi insieme per una vita». «Noi», continua Umberto, «non facciamo altro che ricreare quei momenti in cui, posate per un attimo le preoccupazioni e i fastidi, si parla, ci si guarda negli occhi, si rivivono i momenti e anche le scelte fatte poi insieme».

Tutto il resto viene dopo. Quando c’è la possibilità di approfondire la fede e l’amore su testi importanti, su esperienze vissute, su momenti di sconforto, su cadute e risalite, molte cose si intravedono più nitidamente. Una storia bella? «Mi viene in mente quella di due cinquantenni che, per vari motivi, si erano ritrovati inariditi», confida Maria Grazia. «Sono venuti da noi ed hanno seguito un percorso importante. Alla fine, non per merito nostro, ma per il tempo che siamo riusciti a ritagliare per loro, loro si sono ritrovati. Hanno voluto scambiarsi le promesse del matrimonio, hanno fatto festa con i figli ormai grandicelli, si sono rifatti l’album delle foto e le hanno condivise. Una gioia grande per noi che in fondo non possiamo che offrire la nostra esperienza, le nostre certezze, i nostri dubbi».

Spiritualità domestica. Vengono in mente le giornate furibonde: di impegni, appuntamenti, scadenze, corse per fare la spesa, colloqui con gli insegnanti, miserie e nobiltà. E poi, la sera, la forza di un ciao, forse, prima di aspettare con qualche brivido la sveglia e ricominciare. «Prego, scusa, per favore»: le tre parole di Papa Francesco si possono ritrovare anche così tra gli alberi, i colori, le pietre, il silenzio.

«Spesso mi interrogo e ci interroghiamo sul valore della presenza. Ci accorgiamo, più andiamo avanti nella nostra esperienza di vita in due, che le parole, i gesti anche le attenzioni sono secondarie rispetto alla capacità (sempre e comunque da acquisire, cioè da imparare) di stare ‘semplicemente’ alla presenza dell’altro. Questa educazione si assume nel tempo, è frutto anche dell’esperienza e consiste nella capacità di non allentare la tensione, di alimentare l’attesa, affinché nulla si scolori, nulla si disperda. E’ la dissolvenza delle cose, così come degli affetti e delle relazioni, che ci avvicina al buio della notte. Stare alla presenza dell’altro è la cura contro la dissolvenza». E’ la confidenza di una coppia. Illuminante.

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