Dopo Lesbo i Migranti non possono più essere un settore della pastorale

Secondo Sergio Durando, direttore dell'Ufficio pastorale Migranti della diocesi di Torino, dopo la visita del Papa ai profughi di Lesbo con il patriarca ecumenico Bartolomeo, l'atteggiamento della comunità cristiana nei confronti di chi scappa dalla morte non può più essere sporadica ma deve diventare un' impegno permanente 

Dopo Lesbo i Migranti non possono più essere un settore della pastorale

Della giornata del Papa a Lesbo rimarranno indelebili alcune immagini destinate a rimanere nella storia: e due sopra tutte. La prima, nella tendopoli dove vengono accolti i profughi: una bambina siriana si inginocchia davanti al Papa e piange sconsolata aggrappandosi ai suoi piedi. Francesco la fa rialzare, prendendola delicatamente per le spalle mentre la madre che in lacrime cerca di spiegare a Francesco perché sono lì. La seconda: Francesco con il Patriarca ecumenico Bartolomeo e l'Arcivescovo Ieronymos primate della Chiesa ortodossa Greca, sfilano davanti ai profughi ammassati alle transenne. Uno di loro tende a Bartolomeo un neonato e il Patriarca lo solleva in alto, quasi a dire «ecco il nostro futuro». Poi lo sporge a Francesco che lo prende in braccio affettuosamente. Il passaggio di un bambino dalle braccia del capo della Chiesa di Costantinopoli al Vescovo di Roma, un gesto che più di un documento ufficiale segna la volontà di questo Papa a cancellare le divisioni tra cristiani.

E al ritorno a Roma, inviando un messaggio ad un centro che accoglie rifugiati il Papa rivolgendosi ancora ai migranti: «Perdonateci, siete un dono, non un peso». Sui molti significati del viaggio di Francesco a Lesbo abbiamo chiesto una reazione a caldo di chi, nella nostra diocesi, coordina l’accoglienza dei profughi. «Sono tante le immagini e i messaggi che ci hanno colpito del viaggio del Papa a Lesbo – commenta Sergio Durando, direttore dell'Ufficio pastorale Migranti – Francesco ha voluto dire innanzi tutto ai profughi di Lesbo e a tutti i profughi: ‘cari amici non siete soli: le nostre Chiese, unite, sono con voi. Per questo non perdete la speranza’». Parole che Francesco ha ripetuto ai migranti incontrati uno per uno e «fissato» nella bellissima preghiera pronunciata al termine del viaggio: «…Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su se stessi. Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle».

«Parole che, oltre a risvegliare le coscienze di noi cristiani sono anche un messaggio politico: il Papa da Lesbo, insieme alla Chiesa ortodossa, implora l’Europa a non chiudere le frontiere perché, come testimonia il naufragio nel Mediterraneo all’indomani del viaggio di Francesco, i confini  di fronte alla più grande tragedia umanitaria dopo la seconda guerra mondiale non reggono più – prosegue Sergio Durando – Dopo ogni tragedia del mare assistiamo a dichiarazioni dei politici europei che promettono di intervenire per fermare la strage di profughi. Ma a parlare sono le frontiere militarizzate in Europa dove sono ammassati centinaia di bambini, sono i 30 mila ‘poveri Cristi’ morti nel Mediterraneo nell’ultimo decennio: l’unica loro colpa è quella di cercare di sopravvivere e di assicurare futuro ai loro figli. Sono questi i valori su cui è stata fondata l’Europa?»

Il direttore della Pastorale Migranti sottolinea come il Papa ancora una volta da Lesbo lancia a tutti un appello alla necessità di gesti concreti, ognuno secondo le proprie possibilità. Un richiamo che nella nostra diocesi non è caduto nel vuoto. «Da tempo siamo mobiliti per accogliere i rifugiati, dopo la parrocchia di Leinì altre comunità, parrocchie e Unità pastorali si sono resi disponibili all’accoglienza di profughi siriani. Francesco non lancia slogan – conclude Sergio Durando – le tre famiglie siriane che ha portato a Roma sono una testimonianza precisa. Di fronte a una crisi umanitaria di queste proporzioni la pastorale dei Migranti non può più essere considerato un ‘settore’ della nostra pastorale ma deve coinvolgerci tutti, non ci sono più alibi, non possiamo più far finta di non vedere. La fede senza opere è zoppa, ci dice il Papa, e l’accoglienza dei migranti in questo anno giubilare straordinario deve diventare un impegno permanente a rispondere ai bisogni concreti di chi scappa dalla morte».

 

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