"Uscire", per andare dove?

Riflessione sulle sfide della pastorale delle parrocchie nella Chiesa torinese, sotto gli impulsi di papa Francesco e del Convengo della Chiesa italiana di Firenze 2015, in vista dell'Assemblea diocesana del 4 e 10 giugno prossimi

Parole chiave: Chiesa in uscita (1), parrocchie (19), missione (38), papa Francesco (256), diocesi di Torino (10), pastorale (60)
"Uscire", per andare dove?

«Una chiesa in uscita! Uscire da che cosa e per andare dove?» Uscire dai muri delle nostre parrocchie per andare incontro a quelle persone del nostro quartiere che ormai, e sono la maggioranza, non mettono più piede in chiesa se non per qualche sporadica occasione. Dobbiamo inventare nuove strategie per attirare i giovani, gli adolescenti, le famiglie nella rete della vita parrocchiale. Ma sarà proprio questo la nuova evangelizzazione? Un’invenzione di nuove strategie, l'organizzazione di eventi, flash mob, ... una questione di trucco pubblicitario, come quei venditori che hanno un prodotto scadente e devono inventarsi qualcosa per convincere il pubblico e piazzarlo sul mercato. Non si tratta di abbellire un cristianesimo vecchio e rattrappito con qualche trovata di «marketing pastorale». La missione nella Chiesa non è un optional, un'appendice, la Chiesa è missionaria in quanto tale, la comunità cristiana evangelizza in quanto comunità che vive il Vangelo. «Voi siete il sale della terra la luce del mondo». Dare gusto e illuminare sono l'essenza, la ragione d'essere del sale e della luce, se dobbiamo inventarci qualcosa per illuminare è perché quella lampada è rotta, inventarsi qualcosa per dare gusto e perché quel sale è vecchio e da buttare. Prima di uscire forse dobbiamo capire che cosa c'è dentro, prendere consapevolezza di che cosa siamo noi e che cristianesimo incarnano le nostre comunità. Scriveva Sant'Ignazio di Loyola: «Chi vuole occuparsi degli altri deve prendere in seria considerazione sé stesso».

Una Chiesa in uscita è una Chiesa che vive in questo tempo e in questo mondo, qui e ora, e non si rifugia in un tempo nostalgico, in un cristianesimo immaginato più che vissuto. Dobbiamo prima di tutto uscire da quei pregiudizi che ci fanno dire «non c'è più la famiglia di una volta, i giovani di una volta», dobbiamo uscire dai nostri rigidi schemi che ci fanno dire «si è sempre fatto così». «Uscire» vuol dire accogliere il rischio anche di perdersi un po' in questo mondo, il cristiano non è di questo mondo, ma vive in questo mondo ed è chiamato ad amare questo mondo così come lo ha amato Cristo coinvolgendosi con tutta la sua vita. Rischiamo di essere fuori dal mondo non perché viviamo secondo il Vangelo, ma perché viviamo in un tempo e uno spazio che non esistono più.

«Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati da questo riconosceranno che siete miei discepoli». L'amore di Cristo lì dove è incarnato e vissuto si irradia ed attrae. L'amore quando si fa dono, comunione di vita, amicizia vera, perdono... è di per sé stesso espansivo, non rimane chiuso nei confini del proprio egoismo, ma si espande, coinvolge come un fiume che tracima e irriga la terra. «La vita di un santo attrarre in quanto tale» diceva il cardinale Henrie Marie de Lubac. L'invito di Papa Francesco ad essere «una Chiesa in uscita» è prima di tutto un invito a prendere coscienza che la nostra pastorale è diventata un accanimento terapeutico, un tentativo illusorio di tenere in vita un cristianesimo agonizzante che non ha il coraggio di morire a vecchie categorie, di perdere quella centralità e quel potere che aveva un tempo. Per risorgere e riscoprirsi piccolo, impotente, sicuramente ai margini di ciò che conta in questo mondo. Ma proprio per questo più vero e autentico, capace di parlare al cuore dell’uomo di oggi.

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