Terremoto Friuli 1976, Torino ringrazia Gemona: "abbiamo imparato la carità"

A 40 anni dal sisma in Friuli suor Angela Pozzoli e don Dino Morando raccontano la «storia torinese» del terremoto che vide una mobilitazione di volontari eccezionale, la base per l'attuale rete del volontariato della Chiesa torinese e della città. La diocesi di Torino portò avanti un gemellaggio con la città friulana per 5 anni

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Terremoto Friuli 1976, Torino ringrazia Gemona: "abbiamo imparato la carità"

«Madre, che cosa farebbe san Vincenzo?»; «Don Dino partiamo, se non andiamo noi chi può farlo?»

È il 6 maggio 1976 quando suor Angela Pozzoli delle Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli, nella casa in via Nizza 22 a Torino, appena appreso del terribile terremoto che alle 21.02 si è violentemente abbattuto sul Friuli, con epicentro nella città di Gemona, avvertito in tutto il nord Italia, fino a Torino, rivolge alla madre superiora, che guardandola negli occhi senza proferire una parola le dà carta bianca per intervenire immediatamente.

Negli stessi minuti nella parrocchia torinese San Giulio D’Orta, quartiere Vanchiglietta, un ragazzo di terza media, Federico, al termine dei gruppi parrocchiali, una volta appresa la notizia del terremoto che lui stesso insieme ai suoi compagni aveva avvertito in oratorio tirando due calci al pallone prima di iniziare l’incontro, rivolge la richiesta al suo giovane viceparroco che seguiva la pastorale giovanile, don Dino Morando.

Da queste due scene di quella calda serata del maggio 1976 inizia la «storia torinese» del terremoto del Friuli destinata a cambiare radicalmente la pastorale della diocesi, delle parrocchie e a far nascere una comunione e una coesione straordinarie fra gruppi, lavoratori, famiglie, imprese. La base per l’attuale rete del volontariato e della carità che oggi, dopo quarant’anni, è particolarmente fruttuosa nella Chiesa torinese, nella città e nel «sistema Torino».

«Il 7 maggio inviai un giovane missionario – racconta suor Angela a La Voce del Popolo lo stesso giorno di quarant’anni dopo – padre Michele Capece, a constatare le necessità più impellenti. Nel giro di 24 ore riuscì a mettersi in contatto con me comunicando che la situazione era disastrosa e che per il momento c’era bisogno di duecento tende canadesi, raccordi per l’acqua, water chimici e cavi elettrici».

Nelle stesse ore alcuni volontari vincenziani proposero di inviare delle roulotte, così anche grazie ad una campagna de «La Stampa» in 48 ore partirono inizialmente 45 roulotte, che poi divennero 120.

I ragazzi e i giovani di don Dino erano già sul posto, furono i primi ad arrivare l’8 maggio nel comune di Maiano, raso al suolo dal sisma, portando coperte e beni di prima necessità. I giovani si misero subito a servizio senza alcuna organizzazione che coordinasse gli interventi, in quanto non esisteva ancora la protezione civile. Si montarono tende e soprattutto si scavò fra le macerie rinvenendo una moltitudine di corpi che non erano riusciti a sopravvivere. Al ritorno a Torino per altri rifornimenti il cardinale Michele Pellegrino telefonò a don Morando conferendogli il mandato per continuare l’intervento nella città di Gemona. Fu l’inizio delle esperienze dei gemellaggi che avviarono 81 diocesi e durarono per cinque anni fino a che il Friuli poté camminare con le proprie gambe.

Il cardinale Pellegrino nominò poi suor Angela Pozzoli responsabile del gemellaggio chiedendo di costruire e coordinare un percorso di fraternità che durò fino al 1981, con il succedersi di centinaia di volontari, oltre 600.

Le roulotte di suor Angela arrivarono dapprima a Trasaghis dove padre Capece le riceveva e le consegnava direttamente alle famiglie. In ogni roulotte vi era tutto il necessario per una famiglia di sei persone. Vera innovazione per allora, presa ad esempio dalla nascente protezione civile. Si avviò una fruttuosa collaborazione con il parroco di Trasaghis don Elio Nicli. L’11 e il 15 settembre 1976 ci furono altre due violentissime scosse.

Poco alla volta il «campo Torino» di Gemona si strutturò attorno alle figure di sette suore di diverse congregazioni religiose torinesi che nei due anni seguenti, con il sostegno di don Morando come cappellano e del salesiano don Giuseppe Marigo, coordinarono  le attività di volontari e sacerdoti, fra cui va ricordato il prete operaio torinese don Toni Revelli, che si susseguirono senza soluzione di continuità. La Fiat contribuì inviando prefabbricati per 60 posti letto e 120 per consumare i pasti.

A fianco dell’opera la comunità vincenziana torinese, coordinata da suor Angela, presso la casa dei Servi di Dio di Rivoli allestì un punto di accoglienza per anziani della frazione Mels di Colloredo e di Gemona per i mesi invernali. L’11 settembre 1977 il cardinale Pellegrino inaugurò la prima opera di ricostruzione torinese, la scuola materna di Piovega.

Anche il cardinale Anastasio Ballestrero, oggi venerabile, nuovo Arcivescovo di Torino, trascorse a Gemona parecchie settimane. «‘Qui bisogna parlare poco e scrivere niente’ – era solito affermare il cardinale, riferisce suor Angela –  si metteva a servizio delle necessità del campo, accanto alle famiglie colpite dal sisma e ai volontari promuovendo nuovi progetti», fra cui la ricostruzione di una casa estiva in Val Carnia a Osais per avviare i campi estivi per i ragazzi gemonesi. «La nostra diocesi ha avviato la pastorale giovanile in Friuli, che non si conosceva – sottolinea suor Angela – generando processi fruttuosi per le due comunità».

Quando arrivarono i prefabbricati promessi dallo Stato non ce ne furono per tutti, chi aveva infatti una casa usufruttaria rimase fuori dalle sovvenzioni statali. Torino, sempre sotto il coordinamento di suor Pozzoli, riuscì a mandare numerosi chalet di legno per tutti coloro che erano rimasti nelle tende.

«Dal campo di Gemona – racconta suo Angela – sono passati 300 giovani che attualmente sono inseriti nella rete del volontariato torinese che proprio da lì è partito».

L’avventura proseguì per anni, con telefonate, visite tra amici conosciutisi sotto le macerie friulane, e da atti di vera fraternità. Come quello di un gruppo di muratori che, sceso a Torino, ristrutturò una casa per l’opera solidaristica diocesana «Città dei Ragazzi». «Quella esperienza – sottolinea Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana, che insieme a don Dino Morando ha partecipato alle celebrazioni di commemorazione il 6 maggio scorso in Friuli in rappresentanza dell’Arcivescovo mons. Nosiglia – è stata come il ‘la’ per lo sviluppo del volontariato ecclesiale nel capoluogo sabaudo. Torino ha imparato che ciò che conta non è cosa si offre ma la relazione che si intesse, nella quale risiede il cuore della carità. Ha imparato che la solidarietà non è fare qualcosa per gli altri ma sentirsi corresponsabili della vita di entrambe. Due Chiese sorelle che sperimentano la fraternità dell’incontro e del dono reciproco. La carità è creare legami che non ammanettano, ma liberano le risorse degli uni e degli altri».

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