Quando il professor Michele Pellegrino divenne Arcivescovo di Torino

Il 18 settembre il prete e docente viene nominato da Paolo VI sulla cattedra di San Massimo

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Quando il professor Michele Pellegrino divenne Arcivescovo di Torino

Michele Pellegrino, un episcopato all’ombra del Concilio. Cinquant’anni fa, a sorpresa – su consiglio di mons. Franco Costa, assistente generale dell’Azione Cattolica - Paolo VI il 18 settembre 1965 chiamava mons. Michele Pellegrino dalla cattedra universitaria alla cattedra di San Massimo come arcivescovo metropolita di Torino. Succedeva al cardinale Maurilio Fossati, morto il 30 marzo 1965 a 89 anni, dopo 35 di episcopato torinese, in ultimo segnato da un certo vuoto di potere per la precaria salute.

VOLUTO DA PAOLO VI - La nomina di Pellegrino rientra nella politica di Papa Montini che, senza rotture, si circonda di persone che assecon­dino le sue scelte: Giovanni Colombo a Milano (1963); 1964 Vittorio Bachelet a capo dell'Azione Cattolica (1964); il patriarca di Venezia Giovanni Urbani presidente della neonata Conferenza episcopale italiana (1965) il cui nuovo statuto prevede la partecipazione di tutti i vescovi all'assemblea generale; Corrado Ursi a Napoli (1966). Meno scontata e più significativa la nomina di Pellegrino in una città non facile per la tradizione laica e liberale, operaia e proletaria.

DUE INTERVENTI AL CONCILIO – Pellegrino è a Roma impegnato nella quarta e ultima sessione del Vaticano II (14 settembre-8 dicembre 1965), che discute e approva ben 10 documenti rispetto ai 2 della seconda sessione e ai 3 della terza. Consacrato vescovo il 17 ottobre 1965 nella Cattedrale di Fossano, fa l’ingresso il 21 novembre salutato dal sindaco Giuseppe Grosso, collega di Università. E subito riprende il treno per Roma. Al Vaticano II partecipava già come «perito conciliare» ma ora, come vescovo, è «padre conciliare». Propone in latino all’assemblea due interventi coraggiosi che riscuotono notevole risonanza e lasciano una traccia, in sintonia con la sua esperienza di cattedratico impegnato nella divulgazione e nell’aggiornamento del clero e del laicato. Nel primo, il 1° ottobre 1965, sollecita libertà di ricerca nei vari campi del pensiero, del sapere e dell’espressione, specie nella teologia, «sia per gli ecclesiastici e sia per i laici». Questo mentre si discute la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, il cui titolo «Angor et luctus» è opportunamente cambiato in «Gaudium et spes» su suggerimento del preposito generale dei Carmelitani Anastasio Alberto Ballestrero.

CHIEDE LIBERTÀ DI PENSIERO - Ricorda il 92enne Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea: «Quello di Pellegrino fu un intervento che sgomentò perché chiedeva libertà di pensiero e dì espressione, nei limiti dell’ortodossia. Io ero ormai un anziano del Concilio avendo già fatto tre sessioni. I vescovi mi chiedevano: "Ma chi è questo qui?" e io rispondevo: "Il nuovo arcivescovo dì Torino". “Ma arriva solo adesso? Doveva arrivare prima”». Il secondo intervento, il 26 ottobre, è l’ultimo prima delle votazioni e della conclusione del Concilio l'8 dicembre. A nome di 12 cardinali e di 146 vescovi, auspica per il clero un forte rinnovamento intellettuale e un incisivo aggiornamento biblico, teologico, pastorale.

«O SACERDOTE SANTO O NON SACERDOTE» - Michele Pellegrino nasce il 25 aprile 1903 a Roata Chiusani, di Centallo, provincia di Cuneo e diocesi di Fossano, da Giuseppe, capomastro, e Angela Ristorti che muore di tifo quando Michele ha 4 anni. Nell’ottobre 1913, a 10 anni e mezzo, entra nel Seminario di Fossano ed è ordinato sacerdote da mons. Quirico Travaini il 19 settembre 1925. «O sacerdote santo, o non sacerdote» aveva scritto dietro una fotografia che lo ritraeva vestito da soldato durante il servizio militare. Intelligenza viva e pronta, sgobbone, meticoloso e profondo, consegue tre lauree da prete studente e pendolare: in Lettere all’Università Cattolica di Milano (1929); in Teologia alla Facoltà di Torino (1931); in Filosofia alla Cattolica (1933).

VICARIO GENERALE A 30 ANNI - In diocesi gli affida numerosi incarichi: direttore spirituale e insegnante di ascetica, mistica e greco in Seminario; direttore del settimanale diocesano «La Fedeltà» in rotta di collisione con il fascismo sui problemi sociali e morali e in difesa dell’Azione Cattolica; conferenziere e autore di opuscoli, studi e commenti. Dal 27 novembre 1933, ad appena 30 anni, è vicario generale (e poi capitolare) con i vescovi Travaini, Angelo Soracco - vescovo e vicario hanno 76 anni in due – e Dionisio Borra.  

IN ROTTA DI COLLISIONE CON IL FASCISMO – Sotto il fascismo emergono il coraggio civile, il rigore morale e la carità di Pellegrino. Tedeschi e fascisti lo vogliono arrestare ma, grazie a una soffiata, si rifugia dalle Missionarie della Consolata a Sanfrè. Si preoccupa dell’assistenza ai partigiani che combattono sulle montagne. A un cappellano: «Ricordati che tu vai a fare il prete. Non toccherai un’arma e, quando ci sarà da assistere qualcuno, lo farai senza guardare la divisa che indossa. Farai semplicemente il prete». I partigiani lo chiamano per dare sepoltura a un aviatore inglese caduto. Il federale gli intima: «Lasci stare quel cane». Risponde: «Davanti a Dio e alla morte siamo tutti uguali».

DOCENTE UNIVERSITARIO - Dopo la guerra si ributta negli studi e in un’intensa attività pastorale tra gli studenti. All’Università di Torino dal 10 marzo 1938 è lettore di latino, su proposta del grande latinista Augusto Rostagni. La facoltà di Lettere e Filosofia per lui istituisce la cattedra di Letteratura cristiana antica: libero docente (1940), incaricato (1941), professore straordinario (1948), ordinario (1951), dal 1959 al ’63 è anche docente di Storia del Cristianesimo. «L’Università è la mia passione e la mia parrocchia». Sui Padri della Chiesa è un’autorità riconosciuta con una so­lida fama internazionale.

UNA FORTE SVOLTA CONCILIARE - Dopo 27 anni di rigorosa docenza, è noto più come uomo di studio che di azione. Due le possibili chiavi di lettura dei suoi dodici anni di episcopato: è «vescovo del Concilio» ed è «uomo che fa strada ai poveri». Il 26 giugno 1967 Paolo VI gli impone la beretta cardinalizia: «Ho accettato per obbedienza». Dietro al 64enne Pellegrino c’è il 47enne arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. In una realtà sociale di frontiera, chiede di essere chiamato «padre» e sceglie come motto «Evangelizare pauperibus. Evangelizzare i poveri», che sono molti tra i 2 milioni e 200 mila diocesani. Alla Chiesa torinese imprime una forte svolta conciliare. Nei primi anni, 1965-71, è un osservatore attento della realtà sociale ed ecclesiale, pastore in ascolto della gente che opera per una Chiesa conciliare, libera da ingerenze politiche e potentati economici con la Fiat che spadroneggia. Del Concilio vive lo spirito, ne fa conoscere contenuti e documenti, ne applica le riforme – talvolta con mano troppo brusca –, rianima la pastorale e vi infonde lo spirito di comunione, vara gli organismi consultivi. Torino all’avanguardia per «Evangelizzazione e promozione umana» ed «Evangelizzazione e Sacramenti», Quaresima di fraternità, diaconato permanente, pastorale operaia, cooperazione diocesana, equiparazione economica del clero. Affronta i drammatici problemi della città che ha il suo «nocciolo duro» nella classe operaia: sfruttamento dei lavoratori; immigrazione massiccia e caotica; fame di case con occupazioni abusive; periferie degradate e degradanti; partecipazione dei cittadini e nascita dei quartieri; disagio giovanile, droga, emarginazione, prostituzione.

LA «CAMMINARE INSIEME» - La seconda fase, 1971-75, è la più feconda con la lettera pastorale «Camminare insieme» (1971) nella quale si amalgamano le ricerche di sacerdoti e laici (alcuni operai), gli studi dei teologi, i contributi degli organismi consultivi, le intuizioni profetiche dell’arcivescovo. La lettera ha uno strepitoso successo editoriale: la diocesi riscopre la missione evangelizzatrice nei valori cristiani di «povertà, fraternità, libertà» e che propone la «scelta preferenziale dei poveri», in quel contesto individuati nella classe operaia. Paolo VI il 4 marzo 1972 gli scrive di suo pugno: «Desidero esprimere la mia compiacenza per la sua lettera pastorale, che finalmente ho potuto leggere per disteso, quasi la ascoltassi pronunciata dalla sua voce, gustandone l’accento semplice, calmo e autorevole, e scoprendo il cuore pastorale da cui questo documento trae la sua sapienza e la sua aderenza all’insegnamento evangelico e alle condizioni del popolo di Dio e del mondo in cui vive sommerso. Vorrei confortare il venerato pastore nella fatica del suo grave ministero, auspicando grandi frutti di bene e assicurandolo della mia comunione e della mia preghiera».

IL TERRORISMO E IL CONFRONTO CON IL COMUNISMO - Nell’ultima fase, 1975-77, il terrorismo esplode nelle strade e nelle fabbriche. Cristiani e marxisti avviano un confronto conflittuale e fecondo, il collateralismo tra Chiesa e Dc è tramontato da tempo, è in cantiere il dialogo-scontro sui «cristiani per il socialismo» e sui «cattolici nelle liste del Pci». Pellegrino è aperto al dialogo con tutti ma è inflessibile sui punti irrinunciabili e non ha assolutamente simpatie marxiste – ne siamo stati testimoni – come provano molti interventi: ateismo e materialismo, ideologia e prassi comunista sono inaccettabili; Cristianesimo e marxismo sono inconciliabili; il matrimonio è indissolubile; la vita è sacra e l’aborto va condannato.

NON FU UN VESCOVO ROSSO - Nonostante ciò, qualche prevenuto interprete lo ha bollato come «vescovo rosso, ostaggio dei comunisti». Pagò a caro prezzo le sue scelte: Roma non lo amava, non fu mai eletto a una carica nella Cei o nominato per un Sinodo dei vescovi. Per ragioni di salute nel 1977 si dimette e si ritira a Vallo Torinese. Nel 1978 partecipa ai Conclavi per Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II e all’ostensione della Sindone e nel 1980 alla prima visita a Torino di Papa Wojtyla. Colpito da ictus l’8 gennaio 1982, vive il calvario della malattia alla Piccola Casa della Divina Provvidenza dove si spegne il 10 ottobre 1986.

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