Lettera pastorale all'episcopato Piemontese Pasqua 1944

I cristiani d'Italia si sentono chiamati a scendere nelle piazze. Gli appelli di papi e vescovi non possono più essere mute voci agli orecchi di comunisti e fascisti. Versetti della Bibbia e citazioni di santi sono la parola di Dio nelle bocche degli uomini. Il pensiero va a quanti sono caduti schiacciati dal regime, a quanti combattono ogni giorno per ottenere pari diritti, in difesa della famiglia e della proprietà privata 

Lettera pastorale all'episcopato Piemontese Pasqua 1944

Alle 9 di mercoledì 18 aprile 1944 inizia lo sciopero generale «contro la fame e il terrore» indetto dal Cln di Torino, prova generale per l’insurrezione. Nonostante il regime di guerra e la censura fascista, le strade sono piene di iscrizioni e di manifesti clandestini. I primi a fermarsi sono gli operai di Borgo San Paolo, di Regio Parco e della Fiat. Alle 10 la città è paralizzata, bloccate le industrie, fermi i tram, chiusi i negozi, sprangati gli uffici e le scuole, bloccate le ferrovie interurbane. Autocarri di fascisti percorrono le strade a tutta velocità per intimidire con la propria presenza, i rivoluzionari si mettono alla guida dei tram per dimostrare che i trasporti pubblici funzionano. Ma presto fascisti e miliziani battono in ritirata. Torino risponde con entusiasmo all'appello del Comitato di liberazione nazionale. Manca un anno alla liberazione dalla dittatura nazifascista.

Il fermento dilaga in Piemonte e in tutto il Nord. Il 4 aprile 1944, martedì santo, i vescovi del Piemonte si riuniscono a Maria Ausiliatrice e scrivono una preoccupata lettera al clero e al popolo per la Pasqua 1944: «Sono ormai passati quattro anni di guerra, e invece della pace tanto attesa ecco l’invasione della nostra Italia; ecco le incursioni selvagge che fanno strazio di popolazioni inermi; Roma violata; l’Italia divisa; gli animi disorientati».

I 18 vescovi subalpini si rivolgono «a quelli dei nostri figli che hanno in mano la forza delle armi, diciamo con il Battista: “Astenetevi da ogni vessazione e da ogni calunnia e accontentatevi della vostra paga”. Le armi sono a tutela dell'ordine, a difesa della Patria, cioè dei cittadini. Non devono mai essere strumento di feroci vendette, tanto più contro le popolazioni e le famiglie». Parole chiarissime rivolte – senza nominarli - agli occupanti tedeschi, ai fascisti e ai repubblichini, ai partigiani: tutti «devono seguire la legge naturale e divina e rispettare le leggi di umanità». I vescovi «condannano ogni forma di odio, vendetta, rappresaglia e violenza».

La seconda categoria sono «i cari figliuoli lavoratori che abbiamo cominciato ad avvicinare nelle fabbriche». I vescovi sentono crescere enormemente la presa sulle masse operaie del Partito comunista che, solo a Torino, passa dai 700 iscritti del marzo 1943 a 16 mila nel marzo 1945, a 66.265 nel settembre 1945. Nonostante le «sirene comuniste» gli operai hanno conservato «nella stragrande maggioranza, un fondo di bontà e di sincerità. Ricordate che la radice di ogni rivendicazione sta nella dottrina proclamata dall'Operaio di Nazaret, Gesù; che uguaglianza, fratellanza, giustizia sono venuti solo da Lui. Non lasciatevi illudere: uno solo è il Messia, Gesù». Leone XIII nel 1891 suona «la riscossa operaia di fronte all'opposizione sorda di governanti indifferenti e di proprietari esosi»; Pio XII nel messaggio natalizio del 1942 afferma che l'operaio «ha diritto di avere una qualche piccola proprietà privata per non vedersi condannato a una dipendenza e servitù economica».La Chiesa difende gli operai «dai falsi profeti che pretendono di ridurre l'uomo a materia, relegando Dio in soffitta tra le favole, combattendo la religione come oppio del popolo, rovesciando la morale come puntello del ricco sfruttatore, negando l'anima con i valori eterni, chiudendo il cielo alle aspirazioni insopprimibili dell'al di là, disgregando la famiglia e gettando le masse nella violenta lotta di classe».

Un attacco in piena regola contro i comunisti, forti della condanna di Pio XII davanti a 25 mila operai il 13 giugno 1943: «Non nella rivoluzione ma nell'evoluzione concorde sta la salvezza e la giustizia. La violenza non ha fatto mai altro che abbattere, non innalzare; accendere le passioni, non calmarle; accumulare odi e rovine, non affratellare i contendenti». È l’anticipo della dura condanna che il decreto del Sant’Uffizio del 1º luglio 1949 scaglierà contro l'ideologia e la prassi comuniste. Non si tratta, formalmente, di scomunica ma della dichiarazione ufficiale che i cristiani che professano, difendono e propagano la dottrina comunista si trovano ipso facto scomunicati perché, aderendo a una filosofia materialistica, sono apostati.

Gli operai sono esortati a rifuggire dalla lotta di classe; a pensare «ai tanti capipopolo di ieri che nel momento della lotta hanno cambiato gabbana abbandonando il popolo allo sbaraglio»; a considerare «le rovine ancora fumanti della Spagna dove il comunismo ha fatto i suoi crudeli esperimenti». Poi l’appello strappalacrime: «Guardate negli occhi le vostre mamme, le vostre spose, i vostri bimbi e poi levateli a contemplare il Divin Crocifisso e la dolce Mam­ma Maria; e dite se potete applaudire, accettare, instaurare un sistema di vita che ridurrebbe tutto a un mostruoso congegno di Stato, che annulla dignità umana e gioia del focolare domestico».

I vescovi esortano tutti alla penitenza, alla conversione della vita, all'emendamento dei costumi. Apocalittica la descrizione: «La bestemmia e lo scatenamento delle passioni più brutali dilagano ogni giorno più: e ne è un sintomo pauroso il contegno di questa povera umanità, giovane e adulta, che stipa quotidianamente treni e corriere». In sostanza «una vita frivola, leggera, mondana, pagana. L'avidità del guadagno ha sostituito al culto del vero Dio il culto del vitello d’oro; ha fatto rinnegare ogni sentimento di umanità per i trenta denari di Giuda. I divertimenti lubrici o addirittura osceni profanano i giorni festivi, dissacrano famiglie e coscienze. I sentimenti di onestà, fedeltà e timor di Dio sono sostituiti dalle passioni torbide della lussuria, dell'adulterio, dell’indipendenza sfrenata nei costumi. La vanità, il lusso, il trionfo ostinato, metodico, ostentato di mode sguaiate e immodeste crescono ogni giorno come marea di fango, provocando castighi e accendendo fuochi di concupiscenza».

I vescovi si rivolgono ai sacerdoti: «Come siete stati esemplari nel restar fermi al vostro posto in mezzo alle incursioni e alle guerriglie, presso le vostre chiese e case canoniche distrutte o sinistrate, così siete stati magnifici operai del bene nel campo della carità. Profughi e sfollati, indigenti e senza tetto, hanno trovato in voi il protettore e il padre». Un elogio al clero piemontese che ha ben meritato: «Da mille parti si sono levate voci a vostra lode. Il Signore vi benedica e vi ricompensi». Poiché anche loro possono lasciarsi stregare dalle «sirene comuniste», allora «richiamiamo la disposizione dell'art. 43 del Concordato che vieta agli ecclesiastici e religiosi di iscriversi e militare in qualsiasi partito politico».

Un pensiero accorato ai sacerdoti caduti «vittime della loro carità. Dio li ha scritti nell'albo della sua gloria. Nel loro ricordo e dietro al loro esempio ciascuno di voi resti fermo al suo posto di lavoro e di responsabilità; ciascuno preceda con la luce dell'esempio». Particolare impegno devono mettere i preti con «tante anime generose che si stringono attorno a noi per aiutarci a riportare Gesù nelle menti ottenebrate, nei cuori amareggiati e delusi, nelle famiglie sconsolate, nella società lacerata. Tra queste anime generose» sono ricordati i membri dell'Azione Cattolica «che,  nonostante le difficoltà e le asprezze del momento e le dolorose avversità e incomprensioni, continuano la loro attività con fedeltà generosa», un’attività «necessaria e preziosa, specialmente nel campo della cultura religiosa, della carità,della formazione e preparazione alla ricostruzione sociale sulle basi cristiane».

Concludono i vescovi: «Benedica il Signore la povera umanità straziata; benedica e componga nella concordia degli animi la Patria diletta; benedica quanti con pura intenzione lavorano per il bene comune e per ricostruire i beni perduti; benedica quelli che nel silenzio e nell'operosità, accettano le restrizioni, il lavoro, il dovere.  Benedica quelli che mettono al di sopra di tutto la pratica dell'amore fraterno, l'aiuto al bisognoso, la misericordia per l'indigente ramingo, vedendo e soccorrendo in ogni creatura Lui, come ci hanno insegnato a fare Giovanni Bosco e Giuseppe Benedetto Cottolengo, i cari Santi del nostro Piemonte»

La lettera è firmata dal cardinale Maurilio Fossati arcivescovo di Torino; Giacomo Montanelli arcivescovo di Vercelli; Umberto Rossi vescovo di Asti; Nicolao Milone (Alessandria); Giovanni Bargiggia (Vigevano); Gaudenzio Binaschi (Pinerolo); Umberto Ugliengo (Susa); Francesco Imberti (Aosta); Sebastiano Briacca (Mondovì); Luigi Maria Grassi (Alba); Giacomo Rosso (Cuneo); Paolo Rostagno (Ivrea); Carlo Rossi (Biella); Leone Ossola amministratore apostolico di Novara; Giuseppe Angrisani vescovo di Casale Monferrato; Egidio Luigi Lanzo (Saluzzo); Dionisio Borra (Fossano); Giuseppe dell’Omo (Acqui Terme).

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