La ricezione in Piemonte del Concilio Vaticano II

Un ricostruzione sul grande evento della Chiesa Cattolica e le sue ricadute in Piemonte

Parole chiave: Vaticano II (2), Concilio (28), Piemonte (91), vescovi (60)
La ricezione in Piemonte del Concilio Vaticano II

Il Concilio è finito, il Concilio comincia. È il senso della «lettera collettiva» che l’episcopato subalpino inviava cinquant’anni fa ai «figliuoli carissimi in Gesù Cristo», datata marzo 1966 e firmata dai vescovi piemontesi, che definiscono il Concilio «grande avveni­mento». Quindi «la parola d’ordine è: il Concilio è finito, il Concilio comincia». Per questo Paolo VI indisse un Giubileo straordinario dal 10 gennaio al 29 maggio, che fu celebrato solo nelle diocesi e senza pellegrinaggi a Roma.

Che cosa è stato il Concilio - Nella serie dei 21 Concili ecumenici, pietre miliari della storia della Chiesa, il Concilio Vatica­no II «è stato di gran lunga il più grandioso per numero di vescovi - circa 2.400 - appartenenti a tutte le regioni della terra, di tutte le razze, di tutte le lingue. E con essi, i superiori di Ordini religiosi e delle Congregazioni religiose, e un folto gruppo di periti e uditori laici, non escluse le religiose e le coppie di sposi. Una nutrita schiera di rappresentanti di Chiese cristiane separate metteva bene in risalto l'ansia e il desiderio di ricomporre l'unica Chiesa di Gesù». I lavori, durati quattro anni, «si sono svolti in un clima di perfetta libertà.

Ogni vescovo era liberissimo di dire ciò che pensava. Questa libertà è la nota che ha maggiormente colpito i rappresentanti delle altre Chiese e i giornalisti. Di pari passo con la libertà e il rispetto per gli altri, è stata sempre indiscuti­bile la riverenza e l'ossequio verso l’autorità suprema del Papa».

Concilio essenzialmente pastorale – I vescovi subalpini mettono in rilievo un'altra caratteristica: «Il Concilio è stato sem­pre guidato e animato da spirito pastorale. A differenza degli altri, non si sono scagliate scomuniche contro errori o divisioni. L’unico intento è stato quello di venire incontro alle necessità della gente di oggi, con la luce della verità che illumina la mente, con il palpito della carità che edifica, con il  consiglio amo­revole e saggio, con il metodo della convinzione che possa portare a ferme decisioni di bene. Fedeli all'impostazione data dall'indimenticabile Papa Giovanni e vigorosa­mente mantenuta da Paolo VI, abbiamo studiato a fondo la natura e la missione della Chiesa. Ci troviamo di fronte a una presentazione pastorale della Chiesa “vero popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, una comunità di anime strette insieme dall'amore, sotto i legittimi pastori, in attitudine di servizio reciproco, legate dalla preghiera e sostenute dall'Eucaristia, con uno sviluppo di doni e di uffici propri di ogni battezzato».

Cosa chiede il Concilio - «Il Concilio chiede la collaborazione di tutti nella grande opera dell'evangelizzazione del mondo» in base al comando di Gesù agli apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il mio Vangelo a tutte le creature, insegnando a esse a vivere come io ho insegnato a voi » (Matteo 28, 19). I vescovi piemontesi ricordano che «il Concilio mette bene in chiaro i fondamenti che dimostrano i di­ritti e i doveri che voi laici avete di collaborare nel campo dell'apostolato». Oltre alla costituzione dogmatica sulla Chiesa, il Concilio ha promulgato il decreto sull’apostolato dei laici, «apostolato tanto più necessario oggi che è sentita sempre più la penuria dei sacerdoti, mentre cresce a dismisura la necessità della presenza attiva dei cristiani nei vari settori della vita culturale, tecnica e sociale». In sostanza si tratta di «immettere un'anima cristiana nel mondo», attraverso «la testimonianza cristiana autentica con le  pa­role e l'esempio» e poi «un apo­stolato che consiste nel mettere, come dal di dentro, un lievito cristiano in tutti i campi di lavoro, in tutte le professioni, in tutte le relazioni, in modo da riportare tutti e tutto a Gesù».

«I laici ponte tra la Chiesa e la società» - E qui la lettera collettiva cita una felice espressione di Paolo VI che dice­va ai laici: «Voi siete il ponte fra la Chiesa e la società, di­ventata quasi insensibile, per non dire diffidente e ostile, nei riguardi della reli­gione e anche semplicemente del Cristianesimo e dei suoi stessi basilari principi». Di conseguenza il Giubileo straordinario – spiegano i vescovi - serve a «rin­graziare Dio per gli immensi benefici apportati dal Concilio», a invocare il suo aiuto «che disponga le anime dei fedeli all'osservanza delle disposizioni conciliari» e a disporre gli animi «al tanto auspicato rinnovamento individuale e fami­liare, pubblico e sociale». In conclusione «mettiamoci bene in testa che è vano lamentarsi e piangere sulla tri­stezza dei tempi se ciascuno non comincia coraggiosamente a riformare se stesso per tornare sulla via della fede e dell'onestà».

La lettera collettiva è firmata da: Michele Pellegrino arcivescovo di Torino; Francesco Imberti arcivescovo di Vercelli; Guido Tonetti (Cuneo); Giovanni Dadone (Fossano e amministratore apostolico di Alba); Carlo Maccari (Mondovì); Gaudenzio Binaschi (Pinerolo); Carlo Rossi (Biella); Giuseppe Angrisani ( Casale Monferrato); Egidio Lanzo (Saluzzo); Giuseppe Dell'Omo (Acqui Terme): Maturino Blanchet (Aosta); Giacomo Cannonero (Asti); Luigi Barbero (Vigevano, allora faceva parte della regione ecclesiastica piemontese, oggi di quella lombarda); Placido Cambiaghi (Novara); Giuseppe Garneri (Susa); Albino Mensa (Ivrea); Giuseppe Almici (Alessandria).

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