Il Giubileo alle Molinette, "la Porta Santa degli ospedali"

Mons. Nosiglia giovedì 17 marzo ha presieduto la celebrazione giubilare all'ospedale Molinette di Torino, "luogo speciale della misericordia di Dio". Gallery fotografica

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Il Giubileo alle Molinette, "la Porta Santa degli ospedali"

«Vogliamo spalancare la Porta del Giubileo, dell’Amore, anche in questo luogo speciale della misericordia di Dio, che il Signore guarda e protegge».

Così l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia giovedì 17 marzo ha sottolineato nel cortile dell’ospedale Molinette di Torino, all’ingresso principale in corso Bramante, dove ha presieduto la celebrazione giubilare, la Messa nella chiesa interna, e ha poi visitato il reparto dei detenuti ricoverati.

Mons. Nosiglia è stato accolto dal neo direttore della Pastorale della Salute della diocesi don Paolo Fini, che sostituisce mons. Marco Brunetti, dal 13 marzo Vescovo di Alba, dagli assistenti religiosi dell’ospedale e dai dirigenti della Città della Salute, il direttore generale Gian Paolo Zanetta, il direttore amministrativo Andreana Bossola e il direttore sanitario Maurizio Dall’Acqua.

L’ospedale è uno dei luoghi di «frontiera» dove si manifesta la misericordia di Dio, una delle porte privilegiate, indicate dallo stesso Papa Francesco, dove celebrare l’Anno Santo.

Ed ecco dunque il messaggio di speranza che mons. Nosiglia, alla vigilia della Settimana Santa in preparazione alla Pasqua, ha voluto portare ai malati, a chi vive la sofferenza e a tutti coloro che si prendono cura di loro, dai famigliari, ai medici, agli infermieri, al personale sanitario, ai cappellani e ai numerosi volontari.

«La Pasqua – ha evidenziato l’Arcivescovo – ci testimonia che anche la situazione più difficile può essere superata, se il Signore è risorto da morte tutto si può vincere». Dal cortile è dunque partita la processione nei corridoi dell’ospedale fino alla chiesa interna, in preghiera per tutti i malati, segno di speranza e misericordia.

«Il Giubileo ci invita alla gioia, anche in questi luoghi di sofferenza – ha affermato mons. Nosiglia nell’omelia della Messa che ha presieduto –  La Porta Santa è il segno che vogliamo aprire il cuore all’amore di Dio e ai fratelli che abbiamo dimenticato di amare. L’Anno Santo ci sprona dunque a riconoscere Gesù presente nei malati e nei poveri». «In ospedale quotidianamente si manifestano le opere della misericordia che consistono nel farsi carico, nello stare con il malato in modo che sia accolto e venga offerta la speranza, sempre in ogni situazione».

L’Arcivescovo ha poi portato l’annuncio della misericordia e del Giubileo nel reparto dei detenuti malati. Mons. Nosiglia nella Domenica delle Palme, il 20 marzo, si recherà in visita al carcere delle Vallette e lo scorso 31 gennaio, nella festa di don Bosco, aveva aperto «la terza» Porta Santa della diocesi al carcere minorile Ferrante Aporti, dove grazie al servizio del cappellano don Domenico Ricca e dei volontari sono attivi progetti per ridonare un futuro ai ragazzi, accolti proprio a partire dall’esperienza della misericordia. Un'attenzione privilegiata della Chiesa torinese che accoglie l'invito di Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo: «nelle cappelle delle carceri i detenuti potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre: possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà».

«La malattia nel tempo dell’espiazione della pena e nella condizione di detenzione – sottolinea don Paolo Fini, direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute – può essere ulteriore motivo di solitudine, abbandono, senso di smarrimento e fallimento e grande amarezza. Il Vescovo, con la visita al reparto dei detenuti malati, ha voluto portare dunque Gesù, la sua vicenda, la Sua croce e risurrezione e il volto misericordioso di Dio. Il Vescovo però ha portato anche il sostegno della comunità ecclesiale, perché  il tempo della detenzione e della malattia diventi tempo della trasformazione e del riscatto in modo che le persone  credano  e lottino per  una nuova e migliore esperienza di vita e la comunità  senta di non potersi costruire senza la loro presenza».

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