Domenica delle Palme in carcere

L'Arcivescovo, nella Domenica delle Palme, ha aperto la Settimana Santa con i detenuti e le detenute del carcere torinese delle Vallette - Un lungo pomeriggio di incontri dove mons. Nosiglia ha presieduto due celebrazioni nella sezione femminile e in quella maschile

Domenica delle Palme in carcere

«Ciao mi spiace che tu sia in prigione e che a Pasqua non puoi andare in chiesa ma stai tranquillo, Dio si ricorda di te». «Cara amica che vivi in carcere spero che per questa Pasqua Gesù trasformi la tua tristezza in gioia». Sono i messaggi di Simone, Flavia, Marta e Giovanni, i bambini della parrocchia torinese di Gesù Adolescente che, invitati dalle catechiste, hanno inviato all’Arcivescovo perché li consegnasse ai detenuti del carcere delle Vallette. E così è stato. I fogli vergati con i pennarelli colorati sono stati letti da mons. Cesare Nosiglia, in visita domenica 27 marzo all’Istituto penitenziario cittadino e consegnati al cappellano don Alfredo Stucchi e alla comunità dei detenuti tra la commozione generale e gli applausi per quelle parole semplici, senza giudizio, che vanno diritto al cuore.

Prima, la lettura della Passione e morte di Gesù, che dietro le sbarre del carcere, se è possibile, si carica ancora più di sofferenza perché in quel brano del Vangelo tutto richiama alla situazione di chi è ristretto. Così l’Arcivescovo ha trascorso con i detenuti del carcere «Lorusso e Cotugno», a ridosso della periferia nord nel quartiere delle «Vallette», il lungo pomeriggio della domenica delle Palme, ricordando a tutti come la condizione del carcerato non sia lontana da quella di chi è libero. Nelle due Messe, celebrate prima nella cappella delle sezioni maschili e poi in quella riservata alle detenute, mons. Nosiglia ha incoraggiato tutti a non disperare mai, anche quando si pensa di essere stati condannati ingiustamente o quando la colpa è devastante. «Nessuno di noi – anche chi non è finito in carcere – può dire di non aver sbagliato – ha detto l’Arcivescovo – non dimentichiamoci che il primo ad entrare in Paradiso con Gesù è un ladro, un uomo che riconosce la sua colpa e che chiede perdono e il Signore lo accoglie e lo salva».

Parole che, soprattutto nella piccola cappella della sezione femminile (su circa 1500 detenuti sono un centinaio le donne recluse alle Vallette, 20 in un «braccio» speciale con i loro bambini), fanno rigare di lacrime tanti volti. Sono madri, anziane, straniere: tutte si tengono per mano mentre ascoltano l’Arcivescovo, qualcuna appoggia il capo su una compagna. «La commozione era palpabile già mentre provavamo i canti prima della  Messa – ci dice suor Maria Ida Cislaghi delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, da decenni accanto alle detenute delle Vallette – qui tante donne portano pesi che sono macigni, molte sono sole non ricevono mai una visita, altre sono trafitte dalla colpa e hanno come unico scopo di vita i figli che sono a casa».

Più riservatezza durante la Messa con i detenuti maschi, quasi la metà stranieri, ma anche qui gli sguardi si incrociano e si abbassano per nascondere l’emozione. Accompagnato da don Alfredo, dal diacono Vincenzo Prota, da suor Orsola Curetti delle missionarie della Consolata, dai volontari, dagli agenti penitenziari, l’Arcivescovo ha incontrato in un colloquio personale anche alcune detenute in isolamento: per tutti un ramo d’ulivo, la lettera pasquale inviata alla diocesi e l’invito a celebrare il giubileo, come indica papa Francesco ai ristretti – ogni volta che si passa la porta della propria cella: «Quello che conta – ha concluso l’Arcivescovo congedandosi dai detenuti – non sono i gesti esterni, non importa passare la porta Santa in San Pietro – quello che importa è la conversione del cuore».

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