Ccee: i nostri giovani hanno molto da insegnarci

Incontro congiunto dei vescovi e delegati nazionali di pastorale giovanile e di pastorale universitaria delle Conferenze Episcopali in Europa

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Incontro congiunto dei vescovi e delegati nazionali di pastorale giovanile e di pastorale universitaria delle Conferenze Episcopali in Europa

Sono stati quattro giovani universitari di Ungheria, Romania, Italia e Svezia i relatori principali in un incontro a cui hanno partecipato vescovi e delegati nazionali per la pastorale giovanile e universitaria. L’analisi della loro esperienza e dei propri vissuti è stato il punto d’avvio per dire ciò di cui i giovani hanno bisogno e si attendono dai progetti pastorali negli atenei, nelle cappellanie, nelle diocesi.

Come sempre avviene, si trattava certo di quattro universitari selezionatissimi che hanno parlato a Szeged (Ungheria), in un appuntamento organizzato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Dai resoconti stampa diffusi al termine dell’incontro, emerge però che essi hanno saputo convogliare le richieste di un mondo giovanile più vasto e meno selezionato che si attende dalla Chiesa cose molto semplici e molto precise: presenza, ascolto, sostegno e accompagnamento.

Sì, perché, hanno spiegato i giovani, si sentono soli e questo li spaventa. Soli di fronte ai grandi interrogativi, quelle domande esistenziali che oggi sono sbriciolate e interrotte da una società e da un mondo del lavoro che offrono pochissime certezze: quale sarà il mio futuro fra sei mesi; come dovrò scegliere il mio partner; chi sono i miei veri amici; che cosa significa dio per me; come usare il mio tempo; quali dovrebbero essere le mie priorità nella vita; che cosa mi motiva nel portare a termine i miei compiti; sono forse io all’altezza dell’esperienza di fede che mi è proposta….

Viene certo da pensare che forse i giovani che a cinque chilometri da lì, ammassati oltre il muro che separa la Serbia dall’Ungheria, aspettando da mesi di essere accolti dall’Europa con le radici cristiane, avrebbero aggiunto altre domande ancora.

Comunque i quattro giovani all’incontro Ccee hanno riferito di come la solitudine renda i loro interrogativi motivo di angosce profonde, ansia e a volte anche depressione. A tutti quelli che si occupano di pastorale giovanile, in qualsiasi contesto o forma, l’appello è “di sapere essere innanzitutto amici disponibili, specie nei momenti difficili o d’incertezza; persone che sappiano ascoltare più che giudicare, sostenere nel valorizzare e promuovere le abilità di ognuno e soprattutto che sappiano accompagnare, capaci di responsabilizzare il giovane stesso nel proprio cammino verso la maturità”. Così riferisce il comunicato stampa ufficiale.

Immersi in un contesto dove il giudizio e l’indice di gradimento sono diventati il nutrimento indispensabile per vivere e nutrire l’auto-stima (a quello della famiglia e delle istituzioni scolastiche, si è aggiunto il giudizio della cerchia di amici oggi invasiva attraverso la e-reputation dei social media), dalla Chiesa i giovani pretendono di non essere giudicati: “Vogliono una Chiesa che li accoglie per quello che sono, con le loro domande, i loro dubbi, che non dice loro cosa fare e come essere, ma che sappia accompagnarli nelle loro risposte, e a volte anche nell’individuare le giuste domande. Una Chiesa che non ha paura di rivolgere loro proposte e sfide anche impegnative”.

Come dire: solo alla Chiesa i giovani si sentono liberi di chiedere di poter essere se stessi. Una prerogativa straordinaria riconosciuta in esclusiva alla Chiesa da giovani che, sempre secondo il documento finale dell’incontro ungherese “non rifiutano l’incontro, la relazione, la Chiesa, anzi sono alla ricerca e aspirano a relazioni vere e profonde con i propri coetanei, i propri cappellani e con Gesù Cristo” e “sono capaci di grandi risposte, di uscire dalla propria auto-referenzialità e di andare all’essenziale della loro fede”, come dimostrano le esperienze presentate da cui emerge il profilo di una generazione “desiderosa di dare il proprio tempo, condividere competenze e risorse” per l’annuncio della fede, la carità o la lotta contro le ingiustizie sociali.

Questo patrimonio diventa parte del cammino che i vescovi d’Europa stanno facendo in preparazione al simposio che nel 2017 a Barcellona li porterà a fare il punto sul tema dell’accompagnamento dei giovani nel loro cammino di fede.

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