Prèsidi in piazza: più scuola, meno burocrazia

Scuola – A Roma ha sfilato la rabbia dei dirigenti scolastici, la testimonianza del preside dell’Avogadro di Torino: più responsabilità educativa

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Prèsidi in piazza: più scuola, meno burocrazia

Perché i presidi sono in agitazione? Se queste figure solitamente così serie, persino compassate scendono in piazza e riempiono le colonne dei giornali deve trattarsi di una faccenda grave. Ma cominciamo dal principio, cominciamo dal nome.

Siamo abituati a chiamarli presidi, ma essi sono dirigenti scolastici, a seguito delle leggi sull’autonomia delle scuole e al riordino del ruolo nel 1998 e alla sua sistemazione nella cosiddetta Area V della dirigenza dello Stato: quella, appunto, scolastica. Un’area separata della dirigenza, perché la scuola non è semplicemente un pezzo dell’amministrazione dello stato, ha una sua tipicità inconfondibile e chi la dirige quindi non agisce come se dirigesse un’Asl o la sede provinciale dell’Agenzia delle entrate o dell’Inps. La separatezza della dirigenza scolastica è nata quindi come un punto di forza, ma si è mutato in estrema debolezza. L’autonomia scolastica ha finito per attribuire al preside carichi amministrativi e burocratici di paradossale vastità. Deve aver le competenze di un intero ufficio tecnico su impianti ed edifici; quelle di uno studio legale per contenziosi giuslavoristici, civilistici, talvolta penali; le competenze di chi istruisce, in trasparenza e anticorruzione, appalti e procedimenti di gara; deve conoscere e applicare l’intricato e contradditorio complesso di norme sulle supplenze; gestire la contrattazione sindacale ed essere esperto del diritto del lavoro. Inoltre questo ingegnere strutturista, medico, avvocato, giudice amministrativo, commercialista, consulente deve fornire dati ai monitoraggi che il Ministero, la Regione, gli Enti Locali, il Servizio di valutazione gli richiedono, incuranti di averli magari già.

Terminata questa parte del lavoro, il nostro deve dedicarsi ai curricoli formativi, all’innovazione didattica, alla formazione e all’aggiornamento del personale, operare su casi di disturbo dell’apprendimento e disabilità, tenere i rapporti spesso segnati dall’incomprensione e dalla conflittualità con le famiglie degli allievi, combattere il cyberbullismo, sorvegliare gli obblighi sanitari, rapportarsi con le aziende del territorio per l’alternanza scuola-lavoro, istituire tirocini formativi, stages e interloquire con enti pubblici e privati, aziende sanitarie, fondazioni, associazioni. Infine giacché fa tutto questo nella sua scuola, lo faccia anche in una seconda ( si dice «in reggenza»), visto che da anni non si riesce a bandire un concorso che recluti nuovi presidi per sostituire quelli che vanno in pensione.

A fronte di queste responsabilità spropositate c’è che il dirigente scolastico è l’ultimo nella graduatoria degli stipendi, ben distante da quelli di qualunque altro dirigente della pubblica amministrazione. Quanto prende chi scrive è facile verificarlo: basta andare sul sito della scuola al menù «amministrazione trasparente». Allo stesso modo per tutti i presidi che vi venga voglia di controllare.

Quella che riempie le cronache non è solo una rivendicazione salariale. I presidi sono donne e uomini di scuola, amano profondamente il proprio lavoro e ne contrastano la degenerazione burocratica proprio perché si sentono dirigenti dello Stato che affida loro una parte essenziale, quella a contatto con gli utenti, del servizio scolastico nazionale. I presidi  vengono dai ranghi degli insegnanti e non potrebbe essere altrimenti; essi sanno, perché hanno fatto quel lavoro, che non esiste alcuna didattica se non entro la relazione umana, che la tecnologia è un aiuto formidabile, ma che non può surrogare l’istruzione attraverso l’educazione nel mito della connessione perpetua alla fonte potenziale di ogni conoscenza. Sanno che la scuola obbliga i giovani ad uscire dalla famiglia e a confrontarsi con altri mondi, vedono quella forma terribile di disagio per cui i ragazzi non vanno più a scuola e si chiudono in camera catturati dal web.

I presidi gestiscono i delicati rapporti con le famiglie, padri e madri che usano la chat di classe per alleggerire le responsabilità dei figli; compararne non il voto, ma la performance; istituire presunte class action contro la scuola; quei genitori che, come scrive Massimo Recalcati nel suo «L’ora di lezione», «si alleano con i figli e lasciano gli insegnanti nella più totale solitudine, a rappresentare quel che resta della differenza generazionale e del compito educativo, a supplire alla funzione latitante del genitore, cioè a fare il genitore degli allievi».

Lasciamo allora che i dirigenti scolastici rivendichino l’orgoglio dell’aggettivo che è nel loro incarico, lasciamo che abbiano il tempo di essere più scolastici e meno dirigenti, il tempo di riflettere sul loro operato e di chiamare alla medesima riflessione tutta la comunità che coordinano. Come possiamo aiutarli? Ascoltandoli con molta attenzione!

dirigente scolastico Istituto tecnico industriale Avogadro - Torino

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