La "Buona Scuola" varata la riforma

L'analisi dell'esperto del mondo dell'istruzione dopo l'approvazione della nuova legge

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La "Buona Scuola" varata la riforma

Il frastuono delle proteste e delle invettive di chi si è radicalmente opposto ai provvedimenti scolastici approvati nei giorni scorsi ha reso alquanto difficile per gran parte dell’opinione pubblica la comprensione reale dei cambiamenti che dovrebbero percorrere il mondo scolastico a partire dal prossimo settembre.

In via generale si può dire che Il progetto Renzi-Giannini è il risultato di un compromesso tra chi avrebbe voluto dare una nuova fisionomia alla scuola italiana sulla base di un’autonomia ampia e chi ha tirato il freno a mano. Molte opportunità sono state lasciate da parte come – tanto per fare due soli esempi – l’abbandono del riordino degli organi collegiali e l’organizzazione dei concorsi su base territoriale (reti di scuole), due veri snodi per garantire il superamento del centralismo ministeriale.

Ben diversa era infatti l’impostazione del documento sulla “Buona Scuola” del settembre 2014 rispetto a quanto è infine maturato in questi giorni. Nel progetto iniziale c’era una idea forte di scuola affidata alle realtà locali, culturalmente robusta, attenta agli studenti e alle loro aspettative, centrata sul diritto allo studio e sulla lotta contro la dispersione, aperta alla collaborazione con le famiglie e le forze sociali operanti sul territorio, fortemente segnato dal proposito di potenziare la qualità degli insegnamenti.

Col passare delle settimane e dei mesi il progetto ha perso vigore. L’impressione è che il confronto si sia consumato sulla difesa di posizioni corporative, di diritti acquisiti e prerogative da salvaguardare, condizionato dalla paura di funzioni ritenute troppo forti (il cosiddetto preside-sindaco). L’intervento delle parti sindacali e forti contrapposizioni ideologiche hanno condizionato il dibattito fino a rendere necessarie le successive mediazioni al ribasso.

Anacronistica e del tutto strumentale è stata la ricorrente contrapposizione che ha dominato i telegiornali tra scuola pubblica e scuola privata: anche i bambini ormai sanno che dal 2000 il sistema scolastico è unico e pubblico, articolato in scuole statali e scuole paritarie.

Si poteva fare di più, ma più che al bicchiere mezzo vuoto di qui in avanti occorrerà guardare al bicchiere mezzo pieno e proteggerlo con cura e attenzione perché, nei passaggi amministrativi che nei prossimi mesi dovranno regolamentare il funzionamento della legge, esso non si svuoti ulteriormente.

Il bicchiere è, dunque, mezzo pieno per varie ragioni. Saranno messe a disposizione delle scuole, in primo luogo, risorse aggiuntive che andranno a compensare i tagli degli anni passati, risorse sia di tipo economico sia di docenti “a disposizione” (il cosiddetto organico funzionale). In tal modo le scuole potranno mettere a punto piani di intervento per agire sugli aspetti più critici.

Di grande rilievo sono inoltre le procedure di valutazione previste anche per i docenti accompagnate, contestualmente, da forme premiali per i maestri e i professori migliori. I capi istituti saranno investiti di grandi responsabilità fino al punto da poter individuare i docenti necessari per rendere più efficace l’azione educativa della scuola.  

Saranno rafforzate le iniziative sul versante della formazione professionale e del rapporto tra scuola e imprese così da dare centralità alla cultura del lavoro e concorrere, anche per questa via, alla ripresa economica, via già percorsa con successo – come è risaputo – da altri Paesi europei. E, infine, è, almeno simbolicamente importante, il modesto sgravio fiscale concesso alle famiglie che scelgono l’istruzione non statale: un piccolo passo in avanti sul piano della parità costituzionale.

Resta aperta la questione del precariato scolastico: le 100 mila assunzioni in programma a partire dal prossimo settembre risolvono solo in parte la questione (ci sarebbero altri 160 mila docenti reclutati in forme temporanee). Bisognerà ora verificare se i promessi concorsi annunciati a partire dal 2016 per ridimensionare il numero dei docenti provvisori saranno davvero banditi e soprattutto rapidamente espletati. L’esperienza del passato e l’ostinazione a volerli gestire centralmente induce ad avere almeno qualche dubbio.

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Scuola

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