Fiat, il cuore è altrove

Con il debutto di Fca a Wall Street si chiude un epoca per la Fabbrica Italiana automobili Torino: dal 13 ottobre 2014 finisce la storia della Fiat come è stata scritta finora

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Fiat, il cuore è altrove

Per le migliaia di torinesi (oltre 100 mila) che il 25 gennaio 2003 si misero in fila per rendere l’estremo saluto alla salma dell’avvocato Giovanni Agnelli, composta presso la Pinacoteca del Lingotto, la giornata del 13 ottobre 2014 probabilmente segnerà un altro lutto. Mentre la nuova Fca, nata dalla fusione di Fiat e Chrysler, debuttava  a Wall Street, sulla storica palazzina del Lingotto, ammainate le bandiere della Fabbrica italiana automobili Torino, venivano issate quelle di Fiat Chrysler Automobiles. Ma il 13 ottobre non è andata  meglio neppure per i modenesi: il debutto nella Borsa newyorchese di Fca è l’inizio di una nuova era non solo per il gruppo torinese ma anche per la Ferrari: Sergio Marchionne ha preso il timone del Cavallino, altro simbolo del made in Italy, liquidando Luca di Montezemolo, presidente a Maranello per oltre vent’anni.

L’ad di Fca ha voluto sottolineare il cambio della guardia portando una Ferrari hypercar (costo 1,2 milioni di euro) davanti al portone di Wall Street con alcune vetture Alfa, Jeep e Chrysler. Certo, bandiere e cavallini sono solo simboli per nostalgici che guardano al passato, Fca continuerà a produrre vetture a Torino e Ferrari a Maranello, come più volte  il presidente Elkann e l’ad Marchionne hanno sottolineato annunciando la fusione di Fiat con Chrysler. Un’ operazione che ha portato alla nascita di un nuovo gruppo industriale automobilistico con sede legale in Olanda, sede fiscale a Londra e raccolta di capitali a New York.

Nostalgia o no, con le bandiere dell’Fca che sventolano a Lingotto finisce la storia di Fiat come è stata scritta finora. La fabbrica italiana automobili Torino non esiste più. Questo non significa che la nostra città venga abbandonata da Fca che qui ha le sue radici: la capitale subalpina rimarrà un polo produttivo come tanti altri sparsi nel mondo ma le funzioni direzionali di un gruppo globale come l’ha concepito Marchionne  – volgendo lo sguardo Oltreoceano e salvando Fiat dal tracollo - si trasferiscono nelle città dove hanno sede tutti i gruppi globali e dove vengono decise le grandi manovre finanziarie del pianeta: Amsterdam, Londra e New York.

Del resto una città come Torino, con infrastrutture ancora troppo deboli per attrarre i grandi investimenti, senza un aeroporto internazionale, senza alta velocità, con una sola linea (recente) di metropolitana, con poche strutture ricettive e in piena crisi di identità (soprattutto a causa della crisi dell’automobile) come può oggi reggere la sfida della globalizzazione?  È da qui allora che bisogna ripartire, come è stato sottolineato alla recente Agorà del sociale lanciata dal nostro Arcivescovo, ricordando che Torino e il suo territorio hanno il dovere di costruire il proprio futuro. E di questo futuro l'automotive continua a far parte, anche se in modi e forme diverse dal passato.

È il «sistema città» che deve cogliere la sfida dove enti locali, sistema scolastico, Università e Politecnico (eccellenza mondiale nel settore dell’automotive),  associazioni di imprenditori, forze sociali si mettono in rete e rimettono in moto un territorio che ha un patrimonio di esperienza produttiva maturato in oltre un secolo e che non può essere disperso. Il capoluogo subalpino ha le potenzialità per creare sviluppo e attirare investimenti. La sfida per Torino è appena cominciata  ora che Sergio Marchionne le ha tagliato definitivamente il cordone ombelicale da Mamma Fiat…