"Allargare i mercati, ma con regole comuni"

Intervista ad Andrea Olivero, vice ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali: "Chi falsifica i nostri marchi sa il valore del made in Italy"

andrea olivero, politiche agricole, frodi alimentari, scandalo metanolo

Dal febbraio 2014 è vice-ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Un’occasione, dice, «per guardare al mondo agroalimentare da vicino e lavorare portando nuova linfa a uno dei comparti più significativi del nostro Paese». E, ancora, «una opportunità concreta per poter contribuire alla realizzazione di un modello di sviluppo che tenga insieme produzione e sostenibilità, qualità ambientale e sociale, innovazione ed occupazione». Andrea Olivero, piemontese (è nato a Cuneo nel 1970), un anno prima, nel febbraio 2013, era stato eletto senatore. E prima ancora, nel 2006, era stato nominato presidente nazionale delle Acli, carica che ha ricoperto fino al 2012. Con il suo ingresso nel governo Renzi, dice, «mi sono state affidate deleghe importanti, dal controllo della qualità alla rete rurale, dall’apicoltura alla biodiversità, dall’agricoltura biologica alla legalità e al contrasto alle agromafie, dall’agricoltura sociale alla formazione e al rapporto con scuola e Università». Ad aprire questa intervista è però un fatto accaduto trent’anni fa: lo scandalo del vino al metanolo (vedi box in questa pagina): diciannove morti, decine di persone intossicate e colpite da gravi lesioni, l'intero settore vitivinicolo in crisi.

Olivero, il 1986 è una data drammatica per tutta l’agricoltura italiana, non solo per il settore vitivinicolo…

Molto è cambiato da allora, dopo quella tragedia anche umana: si è capita, ad esempio, l’importanza della tracciabilità dei prodotti. Prima si pensava solo a controllare che non ci fossero singole frodi. Una vicenda che ha colpito il mondo vitivinicolo ma che ha fatto comprendere a tutti che chi sbaglia non coinvolge solo sé stesso ma tutto il settore agricolo.

Lei è reduce dal Vinitaly, la più importante manifestazione del settore. Ha potuto verificare concretamente questi cambiamenti?

Al Vinitaly abbiamo verificato quanto sia cresciuta la qualità del vino italiano, anche se i consumi di vino sono calati in Italia rispetto al 1986. C’è stato un innalzamento della qualità inimmaginabile che ha imposto le doc italiane in tutto il mondo: il merito va soprattutto agli imprenditori del settore, che hanno capito la necessità dei miglioramenti. Le regole sono importanti, ma l’elemento decisivo è rappresentato dai produttori che hanno colto e fatta propria la necessità di tutelare il buon vino coniugandola con la difesa del territorio. Nel mondo globale non serve un prodotto indifferenziato, serve qualcosa che leghi il prodotto al territorio: la nostra crescita straordinaria è stata proprio legata a questi aspetti: vino, paesaggio, arte, storia, salubrità dei luoghi e anche vivacità sociale dei nostri borghi e paesi. Dietro ogni bottiglia ci deve essere anche una comunità viva con le sue tradizioni e cultura, per dare charme al prodotto. Abbiano imparato dai nostri cugini francesi, che sono arrivati prima di noi a mettere in pratica tutto questo.

L’agricoltura, quindi, anche come traino dell’industria turistica, la principale risorsa del Bel paese?

Sì, l’agricoltura è parte integrante, con le sue produzioni tipiche, della grande bellezza dell’Italia: paesaggi, monumenti e storia si legano con i prodotti tipici. E noi dobbiamo tutelare questo patrimonio e valorizzarlo.

Ma l’Europa sembra talvolta remarci contro. È così?

È vero, in questi anni c’è stato un contrasto a livello europeo alle nostre Igp, le Indicazione geografiche protette, e alla tracciabilità che noi chiediamo, perché il consumatore deve sapere da dove arriva ciò che mangia: Stiamo facendo molte battaglie in Europa in difesa dei nostri prodotti e contro le falsificazioni. Coloro che “taroccano” i nostri marchi sanno bene del valore aggiunto che ha sui mercati il prodotto italiano: oggi la nostra produzione agricola vale 36,6 miliardi di euro del Pil italiano, una cifra enorme che pensiamo comunque di alzare a 50 miliardi nel 2020.

Sul riso, invece, l’Europa ha aperto le porte al prodotto di Paesi come il Vietnam, Myammar e Cambogia. Perché?

L’Europa ha tolto i dazi in nome di una solidarietà internazionale con alcuni Paesi meno sviluppati dell’Estremo oriente .Ma non ci è resi conto che si mettono così a rischio settori agricoli fondamentali, come quello risicolo. Noi abbiamo fatto presente che l’aumento dell’export di questi Paesi verso l’Europa non va spesso a vantaggio dei contadini di questi stessi Paesi, bensì degli speculatori internazionali che possono compare riso a bassissimo prezzo. Certo, i mercati vanno allargati, dire il contrario sarebbe affermare teorie fuori dalla storia, ma questi processi vanno governati e quindi “aprire le porte” con regole di mercato uguali per tutti. L’Europa non produce a sufficienza riso per i suoi consumi interni, ma l’alimento che si importa deve possedere anche criteri di qualità e sanità. Noi produciamo riso che subisce molti controlli anche per quanto riguarda l’inquinamento ambientale. Altri, invece, non tengono conto di questi aspetti di produzione.

L'articolo completo su "Il Nostro Tempo" del 1° Maggio 2016

Economia

archivio notizie

27/06/2017

L'eccellenza dell'artigianato piemontese protagonista con "Operae del mercato del design da collezione"

L’Assessorato alle attività produttive della Regione Piemonte e Operæ lanciano il bando che permette a dieci artigiani di partecipare alla quarta edizione del progetto PHM | Piemonte Handmade

22/11/2016

Il Premio Biella Letteratura e Industria all'economista (e gesuita) francese Gaël Giraud

Gaël Giraud, ex banchiere e gesuita, dopo un'esperienza in Africa,è il vincitore per la sezione Opera Straniera del Premio Biella Letteratura Industria 2016

20/10/2016

Valli di Lanzo, la montagna attende

Due Unioni montane per 25 Comuni, 10 milioni di fondi europei e statali per ripensare l’economia locale

04/10/2016

Casa quanto mi costi

Oggi a Torino ci vogliono meno di cinque anni di stipendio per comprare casa. I dati dell' Ufficio Studi di Tecnocasa