Al Aleppo l'oratorio sotto le bombe

Siria - la testimonianza di don Pier Jabloyan, formatosi a Torino, a servizio della missione salesiana di Aleppo, città devastata dalla guerra. Il sacerdote è a fianco dei giovani e della gente

Parole chiave: Aleppo (6), Siria (29), guerra (63), oratorio (25), missione (38)
Al Aleppo l'oratorio sotto le bombe

«Vi chiedo a nome di tutta la comunità di continuare a pregare per noi. Sappiamo bene che il Signore non ci lascia mai e Lui c’è sempre specialmente in questa brutta guerra: Lui è presente e noi siamo sicuri di questo».

Il 29 aprile proprio da Aleppo, il salesiano don Pier Jabloyan, che qui a Torino ha concluso la sua formazione e che lo scorso 11 luglio è stato ordinato sacerdote nella città siriana ci testimonia la fatica e la speranza di una comunità e di un popolo ricordato dal Papa al termine del Regina Coeli di domenica 1 maggio.

«Ricevo con profondo dolore – ha richiamato papa Francesco, che da don Pier aveva ricevuto nel corso di un’udienza il 17 settembre scorso un bossolo di proiettile caduto nell’oratorio di Aleppo - le  drammatiche notizie provenienti dalla Siria, riguardanti la spirale di violenza che continua ad aggravare la già disperata situazione umanitaria del Paese, in particolare nella città di Aleppo, e a mietere vittime innocenti, perfino fra i bambini, i malati e coloro che con grande sacrificio sono impegnati a prestare aiuto al prossimo. Esorto tutte le parti coinvolte nel conflitto a rispettare la cessazione delle ostilità e a rafforzare il dialogo in corso, unica strada che conduce alla pace».

Una pace che in questi giorni appare però ancora lontana «Stiamo vivendo una situazione difficile – prosegue don Pier – Neanche sappiamo chi colpisce chi: tutti colpiscono tutti. In città c’è un clima di paura un senso di morte diffuso. Ogni quartiere della città è stato colpito da razzi e colpi di mortaio. Tutta la città ormai soffre. L’oratorio è stato ufficialmente chiuso per qualche giorno perché comincia il periodo degli esami, ma anche perché non possiamo garantire la sicurezza. Non sappiamo come fare a far venire i ragazzi: per strada non c’è nessuna zona sicura. Siamo fermi. Ma speriamo che queste guerriglie finiscano presto, anche alcune scuole hanno chiuso, tutti si aspettano un cambiamento perché non si può continuare così, speriamo verso il meglio...».

E sono la speranza e il conforto la missione della comunità salesiana di Aleppo, in questo tempo di guerra. Speranza affidata alla preghiera e trasmessa con gesti concreti di vicinanza, condivisione. «Non abbiamo più parole per confortare questa gente – prosegue –anche noi siamo immersi in questo dramma e molte zone in cui vivono i nostri ragazzi sono molto rischiose. Sono caduti quattro palazzi ieri, nelle zone del Midan e non sappiamo chi abbia causato questo. Noi troviamo la nostra forza giorno per giorno, ogni giorno. Ogni giorno per noi è un nuovo giorno è una creazione nuova. Ogni giorno ci chiediamo come possiamo andare avanti. Ogni giorno come salesiani e come religiosi manteniamo il ritmo della preghiera andiamo alle cappellanie, torniamo per la meditazione, le lodi e viviamo la nostra vita comunitaria. Con i ragazzi nel pomeriggio cerchiamo di andare a visitare chi ha bisogno. Ieri c’è stata molta paura per i colpi caduti proprio vicino. Cerchiamo di dare una mano, stare accanto: abbiamo detto a questi ragazzi e alla gente intorno che quando hanno bisogno possono venire da noi...».

Si vive giorno per giorno, ma con la speranza si continua a programmare «Quando smetteranno i bombardamenti – spiega – manderemo l’autobus dell’oratorio a prendere i ragazzi e i giovani che hanno voglia di partecipare alla Messa e alla preghiera del rosario nel mese mariano sperando di aprire come calendario ufficiale il 13 maggio per concludere l’anno catechistico (circa 700 i bambini e i ragazzi iscritti) e iniziare l’estate ragazzi, sperando che sarà così una festa di conclusione e di apertura». Una festa per mantenere viva la speranza di un futuro diverso, di un futuro di pace in una terra dove chi può cerca di fuggire, una terra  che conta oggi migliaia di morti, dove ormai si sopravvive con poca acqua, poco cibo e quasi senza elettricità, una terra dove congregazioni religiose e confessioni cristiane non si rassegnano al dolore, alla violenza, al cercare di trasmettere ai giovani la voglia di futuro: «Una terra – conclude don Pier – che oggi più che mai ha bisogno della preghiera di tutti».

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