Unione Europea e ruolo dell’Italia: un nuovo patto costitutivo
Si impone una svolta al processo di unità europea, non solo puiù economico e finanziario ma politico e culturale
Conviene ascoltare bene le parole di Christiane Taubira, ex ministro della Giustizia in Francia, dimessasi a fine gennaio perché non condivideva più la strategia del suo governo su immigrazione e lotta al terrorismo. Conviene anche non fidarsi delle immagini che troppo spesso i giornali rimandano, facendola apparire (volutamente?) - in bicicletta, con giubbino e caschetto, allegra e salutante - come una sognatrice sincera, ma poco avvezza alla concretezza di una lotta al terrore che si fa sempre più dura. Perché nel suo pensiero di indomita idealista, c’è l’elemento base di quel farmaco di cui l’Europa malata avrebbe oggi un gran bisogno.
«Là dove non viene applicata la legge dello Stato – sostiene con vigore, Taubira – comanda la legge del più forte, e il debole soccombe. Ma sono proprio i terroristi quelli che seminano lo spirito della distruzione, predicano la guerra tra le culture, lo scontro di civiltà. La nostra risposta deve garantire la sicurezza dei cittadini senza rinunciare alle nostre ricchezze migliori». Aggiungendo: «quando il mondo intero vacilla, ciascuno deve interrogarsi sui propri doveri e prendersi delle responsabilità. Non troveremo la pace nell’egoismo ignorando la sofferenza che ci circonda». Ecco: se non è proprio tutto il mondo a vacillare, di certo l’Europa non sta tanto bene. Almeno quell’Europa che (dopo le tragedie della guerra) i nostri padri avevano sognato, libera, solidale, compatta, con un futuro di sviluppo e coesione, e che li aveva spinti, poco meno di sessanta anni fa, a Roma, a firmare lo storico Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea. Oggi si respira tutt’altro clima. L’Europa litigiosa, burocratica, incerta sulle scelte da prendere e soprattutto legata agli interessi degli stati più forti, piace sempre di meno. E se in Gran Bretagna programmano un referendum per chiedere ai cittadini qual è il grado di volontà di permanenza (molto scarso, sembra), in Italia un recente sondaggio (Mannheimer sul Giornale del 30 gennaio) evidenzia che gli Italiani che hanno fiducia nella UE sono appena il 27%. Mai così pochi.
Eppure all’Europa unita non c’è alternativa. Gli accordi Merkel/Renzi, nonostante le reciproche “beccate”, le posizioni distanti su alcune questioni nodali (gestione flussi immigratori, conti pubblici/austerità), e la differenza di stile politico, testimoniano comunque che la strada di un’Unione più forte è possibile. Forse siamo in ritardo, ma non tutto è perduto. Purché si punti alto, con il coraggio che difficilmente può essere trovato se la paura di perdere consensi è la barra che orienta le decisioni. Ma una piccola Europa non fa il bene di nessuno degli stati, anzi, li spinge al ribasso, a competizioni locali su questioni globali, quindi destinati alla sconfitta. E se partiti, media, leader d’opinione potessero pensare una nuova strategia di narrazione sulla necessaria e ineluttabile grandezza dell’Europa, forse si potrebbe raccontare meglio ai cittadini (e magari, perché no, farli riappassionare) di quella prospettiva che un vecchio saggio come Etienne Davignon, ex vicepresidente della Commissione Ue presieduta da Delors, propone: ripensare a un nuovo giuramento degli Stati che compongono la Ue, «credo che sia arrivato il momento di farlo», dice. Non saranno gli Stati Uniti d’Europa, che alcuni continuano a individuare come l’unica, sebbene ardita e forse impossibile, meta che può segnare una vera svolta, ma è un ottimo modo per ricominciare. Senza un nuovo patto, un nuovo giuramento, i vecchi compagni di viaggio rischiano di sbandare alla prossima curva.
Attualità
archivio notizie
La biblioteca personale di Carlo Donat-Cattin
La riunificazione di migliaia di volumi per continuare a studiare, vita, pensiero e azione politica del leader democratico cristiano in vista del centenario della nascita
Meditazione sul Crocifisso
La riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta per il Venerdì Santo 2016. Perchè interrogarsi fino in fondo
Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria
Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione