Terremoto in Friuli, la ricostruzione e l'impegno della Caritas

Il ricordo a quarant'anni dal Sisma. Commozione e tanta solidarietà con i colpiti dal devastante terremoto che il 6 maggio 1976. Fu il primo intervento su larga scala della Caritas italiana, istituita dalla Cei il 2 luglio 1971. Torino si impegna nella ricostruzione dell’asilo di Piovega di Gemona, inaugurato da Pellegrino l’11 settembre 1977

Terremoto in Friuli, la ricostruzione e l'impegno della Caritas

Quarant’anni fa faceva un gran caldo, quasi estivo, quel giovedì 6 maggio 1976. Gli Alpini della caserma«Alberto Goi» di Gemona del Friuli erano quasi tutti in libera uscita. Alle 20,55 la terra ha come un brivido: è un allarme, ma nessuno ci bada.

Alle 21 la seconda scossa, più robusta. Alle 21,02 la terra è squassata da un sisma violentissimo, magnitudo 6,4 della scala Richter, 8° grado della scala Mercalli. Un rombo continuo: 55 interminabili secondi. Scosse di assestamento – gli esperti lo chiamano «sciame sismico» - vanno avanti per mesi. L’11 e il 15 settembre altre violentissime scosse. L’epicentro è a Gemona-Venzone. La gente si precipita in strada. Strade e piazze, cortili delle caserme, campi da gioco dello stadio – l’Udinese allora militava in serie C – e degli oratori diventano giganteschi bivacchi. Le centraliniste della Sip, in preda al terrore, abbandonano cuffie e spine. Il Friuli è isolato. Per fortuna intervengono i radioamatori e i reparti trasmissioni degli Alpini e dell’Esercito. Il Friuli è devastato: su un’area di 5.500 chilometri quadrati con 600 mila abitanti, si contano 989 morti, 100 mila sfollati, 18 mila case distrutte, 45 Comuni rasi al suolo, danni per 4.500 miliardi di lire. Immediata scatta la solidarietà collettiva.

A Torino il «Fogolàr furlan» nel quartiere San Donato è preso d’assalto dai friulani residenti in città che cercano notizie dei parenti e degli amici. Poche ore e la palazzina di via San Donato è letteralmente sommersa dal materiale: pentole, materassi, coperte, tende, lettini da campo, latte in polvere, viveri, medicinali,  generatori elettrici.

In quella tragedia la Caritas italiana ebbe il suo «battesimo di fuoco». Il giorno dopo il sisma il cardinale Antonio Poma, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, invia un messaggio all’arcivescovo di Udine mons. Alfredo Battisti, in cui assicura le preghiere e l’impegno dei vescovi italiani «per venire incontro alle necessità più urgenti della popolazione».

Nel 1971 Papa Montini aveva sollecitato la Chiesa italiana a far nasce un nuovo strumento pastorale: la Caritas. Poma, presidente della Cei, incarica una commissione presieduta dal pado don Giovanni Nervo di iniziare il lungo cammino di avvio. In un’intervista Nervo, scomparso nel 2013, ricordava questo colloquio con il Paolo VI nel 1971: «Ci disse che era per lui inconcepibile che il popolo di Dio crescesse secondo lo spirito del Concilio se tutti i membri della comunità cristiana non si fossero fatti carico dei bisogni e delle necessità degli altri.
Fino ad allora in Italia c’era stato per oltre trent’anni un grande organismo caritativo e assistenziale, erogatore di beni e servizi, la Pontificia opera assistenza (Poa), dipendente dalla Santa sede, che riceveva gli aiuti dai cattolici americani ed era lo strumento della carità del Papa per la Chiesa italiana. Nel periodo della guerra e del dopoguerra fu provvidenziale. Cambiata in Italia la situazione, Paolo VI nel 1970 la sciolse e sollecitò la Cei a darsi un proprio organismo pastorale per promuovere e coordinare l’attività caritativa. Così nacque la Caritas».

Lo stesso giorno, alla presenza di monsignor Giuseppe Pasini, segretario generale di Caritas italiana (organismo nato da soli cinque anni), le Caritas diocesane del Triveneto si radunarono a Venezia, in un incontro presieduto dal patriarca Albino Luciani. Fu l’inizio dell’esperienza dei gemellaggi, tra le diocesi italiane e le parrocchie terremotate, come strumento di solidarietà, prossimità ed accompagnamento verso le comunità colpite, in modo da assicurare sostegno morale ed economico per tutto il tempo dell’emergenza, della ricostruzione e della successiva prevenzione. 81 diocesi avviarono gemellaggi mantenendo un legame attivo per almeno cinque anni con altrettante parrocchie terremotate, grazie anche agli oltre 16 mila volontari che si alternarono nelle zone colpite. Si realizzarono 67 Centri di comunità, luoghi di incontro e di aggregazione di tutta la comunità e centri promotori di momenti e attività sociali, culturali, religiose e ricreative”. Il metodo dei gemellaggi divenne elemento portante dell’azione Caritas in occasione di tutte le successive emergenze, nazionali e internazionali.

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