Giornali, sindacato, politica le "cento" fasi di Carlo Donat-Cattin

Torino ha ricordato l'uomo di Stato, pensatore e attore protagonista dell'Italia del Novecento

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Giornali, sindacato, politica  le "cento" fasi di Carlo Donat-Cattin

C’è una frase che meglio interpreta l’eredità di Carlo Donat Cattin: «il coraggio della politica, la necessità continua dello studio, dell’analisi e del confronto aperto», una sintesi precisa di quello che è stato l’uomo oltre che il politico, sabato 19 marzo al convegno sulla sua figura e opera «Torino ricorda Carlo Donat-Cattin, uomo di Stato e leader Dc, a 25 anni dalla scomparsa». E’ stato un momento, al quale ha partecipato un folto e qualificato pubblico, di rilettura critica e di prospettiva partendo dalla lezione morale e politica di un maestro de cattolicesimo sociale. Nel tempo del «politically correct», la chiarezza, la durezza unite alla ricerca del bene di tutti, senza indugi e compromessi, di un personaggio scomodo come Donat Cattin, in tanti lo hanno rilevato, sarebbe un viatico per il quadro politico nazionale e internazionale.

Infatti, amici e avversari, storici e testimoni hanno espresso parole mai banali e retoriche per descrivere l’audacia di Donat Cattin, cattolico del dialogo, formatosi nell’Azione Cattolica, del giornalista, il sindacalista e infine uomo di governo e di opposizione. Capo riconosciuto e temuto di quella sinistra sociale mai subalterna all’ideologia comunista e sempre al fianco dei lavoratori. Non mancano le ombre e le amarezze, le sconfitte e le cadute di un cavallo di razza, temuto e stimato. Tanti gli episodi e gli aneddoti raccolti nella giornata, impreziosita dall’intervento di Giorgio Aimetti, l’amico giornalista, che ha tracciato un profilo non agiografico del politico ligure-torinese. In un passaggio significativo della sua relazione Aimetti ha affermato: «Donat-Cattin è stato un vero leader politico e uno statista. Caratteristiche che vengono riconosciuti non solo dagli amici ma anche e soprattutto dagli avversari che individuano nel ‘Ministro dei Lavoratori’ un vero e proprio ‘cavallo di razza’ della vecchia Democrazia Cristiana. Un leader che aveva il coraggio di sfidare, come sindacalista, sul terreno dei contenuti la famiglia Agnelli a Torino e un dirigente politico che con una corrente - la sinistra sociale di Forze Nuove – che contava poco più del 6/7 per cento condizionava la strategia e l'azione del più grande partito italiano, la Dc. Celebre la sua battuta al riguardo, sempre sferzante ed efficace, che «il carisma o c'è o non c'è. È inutile darselo per decreto». Era una battuta riferita a uno dei tanti segretari della Dc che non riscontrava il suo gradimento...

Ma la leadership di Donat-Cattin non fu un prodotto da laboratorio o legata alla sola politica spettacolo che dura, normalmente, sino a quando il volano interessato della propaganda mediatica ti sostiene. La sua era una leadership maturata sul campo. Per questo viene ricordata con forza e convinzione». All'Auditorium della Città metropolitana i saluti del sindaco della Città di Torino Piero Fassino e del presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino non sono stati di circostanza, ma pensieri utili a capire la portata del ruolo e dei temi affrontati da Donat Cattin. Sfide attualissime: lavoro, demografia, democrazia, partecipazione, economia, politica estera. Da «Forze Nuove» a «Terzafase», attraverso la rottura con la sinistra di base e l’avvio del Preambolo, per tornare ai rapporti franchi e volte  difficili con Amintore Fanfani e Aldo Moro. Un percorso umano che descrive la storia italiana, tra luci e ombre. Donat Cattin sindacalista e ministro del Lavoro, l’artefice (con i suoi autorevoli interlocutori tecnici e politici) dello Statuto dei Lavoratori sul quale la Fondazione a lui titolata sta effettuando una ricerca curata dal prof. Alessandro Parola, è stata tracciata da, della segretaria generale Cisl. Profonde  ed emozionanti i ricordi di Enrico Salza e Fabrizio Palenzona, approfondite e dirette le riflessioni di Bruno Manghi, Gianfranco Morgando, Osvaldo Napoli e le conclusioni di Guido Bodrato. La messa presieduta da mons. Giuseppe Ghiberti alla Consolata in suffragio del politico democratico cristiano ha chiuso la giornata, ma aperto nuove prospettive di ricerca e valorizzazione di un pensiero.

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