Alcide De Gasperi, statista cristiano europeista

A sessantuno anni dalla scomparsa procede la causa per la beatificazione

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Alcide De Gasperi, statista cristiano europeista

Se affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il Cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale, esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana con il suo fermento di fraternità evangelica, con il suo culto della bellezza affinatosi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria».

Lo disse cinquantuno anni fa, il 21 aprile 1954, quattro mesi prima della morte,  Alcide De Gasperi alla Conferenza parlamentare europea di Parigi. Quattro anni prima, in un discorso il 15 novembre 1950 in Senato afferma: «Credo che la Federazione europea sia quella la cui possibilità di pratica realizzazione è più vicina. Qualcuno ha detto che la Federazione europea è un mito. È vero, ma ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza e la pace, se non questo sforzo verso l’Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma allora noi creeremo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico: questo è un mito di pace; questa è pace; questa è la strada che dobbiamo seguire».

E tenendo un comizio a Torino il 24 marzo 1952 in una affollatissima piazza San Carlo, il segretario della Democrazia cristiana e presidente del Consiglio, indica la strada per uscire dalle ristrettezze dopo la guerra: l’unifi­cazione europea, l’adesione dell’Italia alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), l’entrata nell’Alleanza Atlantica.

L’Europa unita ha in De Gasperi, Robert Schuman, Jean Monnet e Konrad Adenauer i «padri fondatori» nobili e lungimiranti. Sono cattolici convinti e praticanti; sono pensatori che, con uno sguardo d’aquila, vedono lontano; sono politici e uomini d’azione che si prendono sulle spalle le sorti delle loro Nazioni – Italia, Francia e Germania – distrutte, sconvolte e sfasciate dal conflitto mondiale in cui si erano scannate su opposti fronti, e lavorano per la ricostruzione. Lo fanno nell’esclusivo interesse dei loro popoli e con un obiettivo comune: attraverso la costruzione unitaria impedire che altre guerre possano insanguinare l’Europa.

Per De Gasperi, «grande italiano» – nato il 3 aprile 1881 a Pieve Tesino come suddito dell’Austria e morto in solitudine a Selva di Valsugana il 19 agosto 1954 – e per Robert Schuman, che fu ministro degli Esteri di Francia, è in corso la causa di beatificazione. Nel cinquantunesimo della morte del più grande statista italiano del dopoguerra è doveroso mettere in risalto un aspetto spesso dimenticato della sua azione politica: il profetico impegno per la creazione di un’Europa unita. È un pioniere dell’europeismo federalista.  

Chi ne capisce la statura e le qualità, il valore e lo spessore è il coetaneo Angelo Giuseppe Roncalli, nato il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (Bergamo). Cardinale patriarca di Venezia, il 4 marzo 1953 il futuro san Papa Giovanni XXIII gli scrive per elogiare la sua incrollabile fede e la sua totale devozione alla Chiesa in tempi amarissimi per il capo della Democrazia cristiana: polemiche sulla «Operazione Sturzo», scontri con i comunisti sulla «legge truffa», marcata conflittualità nella Dc. De Gasperi, carattere forte e paziente, ne soffre e la lettera di Roncalli gli reca sollievo, consolazione e un’inattesa attestazione di stima: «Le esprimo tutta la fedeltà del mio spirito: rispetto, ammirazione, partecipazione intima di sollecitudini, invocazioni di grazie celesti per la sua persona e per tutto ciò che ella rappresenta per la Santa Chiesa e per la nostra diletta Patria, nel suo reggimento interiore e nel concerto delle nazioni».

Qualche mese dopo Roncalli gli conferma «la continuità spirituale della grande stima e della fiducia che conservo della persona e della attività sua. Non occorre dire che passando ella da Venezia sarà sempre una grande festa per me accoglierla al Patriarcato e ripeterle i segni della buona amicizia». 

La stima del cardinale bergamasco per lo statista trentino nasce negli umilianti giorni della «Conferenza di pace» di Parigi nel 1946. Roncalli, nunzio in Francia dal 30 dicembre 1944, soffre nel constatare il durissimo trattamento riservato dal ministro degli Esteri francese Georges Bidault e dai «vincitori» a De Gasperi che rappresenta l’Italia «vinta». Il nunzio ha una parte non secondaria nella preparazione dell’incontro De Gasperi-Bidault, alla vigilia della conferenza dalla quale il 10 agosto 1946 il presidente del Consiglio italiano è ricevuto in un’atmosfera cupa e ostile.

Testimonia il senatore dc Giuseppe Brusasca, casalese e sottosegretario agli Esteri e membro della delegazione: «Incontrammo la più aspra ostilità dei francesi che non ci perdonavano la dichiarazione di guerra fatta da Mussolini mentre Hitler occupava Parigi. Sulla stampa e sui manifesti fummo accolti dalla parola "Assassini". A Palazzo Lussemburgo ci chiusero in una stanza per un’ora».

De Gasperi parla per tre quarti d’ora ai 21 «vincitori» e richiama i principi di giustizia e uguaglianza tra i popoli. Un discorso memorabile. Ancora Brusasca: «Quando finì, tornò al suo posto in ultima fila. Nessuno lo salutò, nessuno disse nulla». Il rappresentante americano, il segretario di Stato James Francis Byrnes, scrive nelle sue memorie: «La cosa mi impressionò. Così quando passò davanti a me mi alzai e gli strinsi la mano. Volevo far coraggio a quell’uomo che aveva personalmente sofferto nelle mani di Mussolini e ora stava soffrendo personalmente nelle mani delle Nazioni alleate».

Nella memoria al processo di beatificazione, iniziato dalla diocesi di Trento nel 1993,  Brusasca depone: «De Gasperi era molto provato e molto preoccupato per l’Italia e la sua gente. Da lui ho imparato politicamente il dovere dell’unità: per questo non ho mai partecipato a correnti e a divisioni. E poi non dimenticherò mai cosa mi disse quando mi offrì il primo incarico di governo nel 1946: un cattolico che si dedica alla politica deve avere sempre la coscienza tranquilla e le mani nette».

Poi le cose si rasserenarono e al santuario di Crea il 22 marzo 1948 ci fu lo storico incontro De Gasperi-Bidault. 

Nella «lectio magistralis» mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, parla del grande trentino come di un «modello» per la classe politica. Anche se patisce l’incomprensione di Pio XII che nel 1952 non capì la netta opposizione dello statista all’idea e alla proposta di don Luigi Sturzo di fare un’ampia alleanza elettorale al Comune di Roma che coinvolgesse la Dc con il Movimento Sociale e il Partito Nazionale Monarchico per sbarrare la strada ai comunisti. De Gasperi soffre per l’ostracismo pacelliano ma rimane forme come una roccia nelle sue idee. Alleare la Dc agli eredi del fascismo? Mai.

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