Si fa presto a dire Olimpiadi

L'eredità dei Giochi di Torino tra luci ed ombre, dopo il "no" alla candidatura di Roma 2024

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Il Villaggio Olimpico oggi

Roma ha detto no alle Olimpiadi, e Torino cosa ne pensa? Chi come me ha lavorato dietro alle quinte di Torino 2006, per sei anni, può oggi condividere il racconto di quell’esperienza, come ho fatto di recente insieme al collega Loris Gherra nel libro di interviste «Quelli che costruirono i Giochi - Un racconto inedito di Torino 2006». Nonostante la negativa gestione post-olimpica - impianti lasciati a se stessi, pesanti debiti a carico degli enti pubblici che investirono nelle opere collegate - Torino 2006 resterà una pagina positiva e da ricordare.

Le Olimpiadi, i valori che esprimono, sono stati per oltre centoventi anni, dalla nascita dei Giochi all’età moderna, momenti di fratellanza e di incontro tra i popoli. Dal dopoguerra in avanti hanno generato spinte in grado di trasformare le città ospitanti. Il business sfrenato, gli sponsor ingordi, i faccendieri pronti a fare banchetti e i tentacoli dello spettacolo costi quel che costi sono invece stati il lato dark dei Giochi.

Il tema del gigantismo olimpico, inutile negarlo, ha generato mostri. Tuttavia le Olimpiadi servono, e molto, per rilanciare una città, un territorio. Ma attenzione, non devono diventare, come a volte è avvenuto - Montreal 1976 e Atene 2004, i due esempi più emblematici - un buco nero finanziario e una eredità di lacrime e sangue per la collettività.

L’occasione del 2006. Nel lontano 1998, quando Torino decise di candidarsi ai Giochi invernali 2006, nessuno avrebbe scommesso nell’assegnazione del Comitato olimpico internazionale, nonostante i buoni risultati del mondiale di Sci alpino al Sestriere del 1997. Tra le località favorite, infatti, c’era la svizzera Sion. Torino appariva un outsider... E, invece, un gruppo di pionieri, che ci credevano, e la sintonia istituzionale fra Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino, oltre all’autorevolezza dell’Avvocato Gianni Agnelli e la forza della Fiat «pre-crisi», scrissero una pagina di storia e riuscirono a convincere i giurati olimpici.

Le Olimpiadi invernali di Torino hanno offerto l’opportunità di rilanciare una città spogliata dall'industria, rilanciarla sotto un'altra veste (dal 2004 al 2015 i turisti sono cresciuti da 1 a 6 milioni), regalare al mondo un’immagine nuova.

I Giochi sono stati un importante passo verso un piano strategico di lungo periodo, tracciato a partire dai primi anni Novanta con il Piano regolatore e l’avvio della stagione dei sindaci, a Torino il prof. Valentino Castellani, che fu presidente del Toroc, affiancato dal “volto” dei Giochi, Evelina Christillin, e dall’anima sociale, Tiziana Nasi.

Le ombre dopo il 2006. Alcuni impianti legati ai Giochi invernali sono stati abbandonati per scelte imposte, molto spesso, dalle Federazioni sportive e dal Governo centrale, in particolare i due impianti inutilizzati in Valle Susa (Pragelato e Cesana Pariol). La gestione di Fondazione XX Marzo e del Parco olimpico nell’arco di dieci anni si è gradualmente ridotta; gli impianti costruiti per i Giochi e lo sport sonbo invece andati a coprire eventi legati allo spettacolo e ai festival. Complicata e discussa è stata la gestione degli spazi, anche se per i concessionari sicuramente positiva, in particolare il Palasport Olimpico, oggi Palalpitour, impianto più sfruttato dal 2006.

Torino 2006 costò circa 3,5 miliardi di euro. Il governo stanziò 1,4 miliardi (Legge 284 e 284bis), Comune e Regione aggiunsero altri 600 milioni. Il resto arrivò da diritti televisivi, sponsor, marketing. La parte pubblica del denaro fu gestita dall’Agenzia Torino 2006, quella privata dal comitato organizzatore Toroc. Entrambe le società verranno liquidate nel 2016. La prima dovrebbe chiudere con un residuo di 45-50 milioni, da destinare alla riqualificazione degli impianti, il Toroc con un attivo di due milioni.

Adesso non resta che prendere quei 3,5 miliardi e moltiplicarli almeno per tre - Londra 2012 ha chiuso a quota 9,8 miliardi. Di Rio non si hanno notizie certe, ma la situazione a pochi giorni dalla conclusione delle Paralimpiadi, spinge a pensare in negativo.

Nel post-olimpico è lo sport ad essere stato dimenticato. Il ridimensionamento delle discipline invernali a livello nazionale ha avuto ripercussioni enormi su Torino. Scelte al ribasso spesso imposte da Federazioni e dal Governo centrale che hanno portato all’abbandono, progressivo, di due impianti, di grande impatto ambientale in Valle Susa, a Pragelato con i trampolini del salto con gli sci e a Cesana Pariol, con la pista di Bob e slittino. Positive le riqualificazioni del Villaggio Olimpico (ex colonia Medail a Bardonecchia) e le strutture di Sestriere.

Tornando in città davvero inqualificabile la situazione dell’area centrale dell’ex Moi, dove aveva sede il Villaggio olimpico: fa eccezione l’insediamento dell’Arpa e l’utilizzo delle palazzine attribuite all’edilizia popolare. Desolante è la zona centrale degli ex Mercati generali, proprio sotto a quell’arco e alla passerella che collegano il centro fieristico del Lingotto all’ex Villaggio e che furono il simbolo dei Giochi.

Tra gli esempi virtuosi: le residenze universitarie e tutta l’area dove sono sorti, il raddoppio del Politecnico, il Campus Einaudi (ex Italgas), Villa Claretta a Grugliasco. Male, invece, i grandi agglomerati urbani, spesso senz’anima e i servizi di zone periferiche, come l’ex area Savigliano nella Spina 3, dove sorge anche la Chiesa del Santo Volto.

Il gran rifiuto di Roma. Tutta un'altra storia è quella di Roma. La Capitale è una città straordinaria, di incredibile bellezza, tale valore le è riconosciuto da chiunque, non ha bisogno di rilancio, ha bisogno di essere amministrata meglio.

Solo qualche anno fa, il premier Mario Monti si oppose alla candidatura olimpica di Roma e ci furono solo applausi. Ora è scoppiato il caos, che si somma a quello già esistente da settimane intorno alla Giunta del sindaco Raggi.

Insomma, le Olimpiadi non sono un balsamo per curare i mali strutturali di un Paese, ma possono inserirsi in un contesto che ha già progettato una nuova idea di città. Sarebbe bene ricordarlo, ai favorevoli e contrari. 

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