Ripensare la cura, gli operatori delle diocesi del Piemonte indicano nuove strade

Il cappellano non basta più. Certo negli ospedali, le cliniche, le residenze, ma è nelle case che serve”. Don Carmine Arice direttore nazionale della pastorale della salute lancia la provocazione con garbo arguto e raffinata finezza ma scopre uno dei nervi doloranti di chi sta coi malati. E tutti i vescovi, tanti, praticamente tutti quelli del Piemonte, nel grande salone dell’auditorium Regina Montis Regalis, sulle colline monregalesi, approvano. Ma i preti sono scarseggiano e questo, forse quasi ovunque,  resterà un sogno. Ma sognare si può.

In Italia ci sono circa settecentomila persone non autosufficienti: oltre 250 mila sono in strutture attrezzate, gli altri stanno a casa, assistite dai famigliari o da badanti. Sono loro, nel 2016, una delle emergenze della Chiesa in ascolto. I parroci, i diaconi, le suore ce la mettono tutta ma sono travolti da mille impegni mentre le loro comunità diventano sempre più grandi e difficili da gestire. Certo una “finestra” si apre, almeno una volta la settimana per ascoltare, raccogliere le voci, dialogare, pregare insieme a chi vive il dolore e la sofferenza. Certo qualcuno bussa alla porta di casa, preferibilmente il venerdì. Ma gli altri giorni?

“Predicate il Vangelo e curate i malati”. Il mondo della salute del Piemonte s’è trovato in una giornata grigia e di pioggia ma in uno scenario di colori autunnali straordinari a dieci anni dal documento sulla pastorale della salute. Una giornata per esplorare le nuove frontiere tra multireligiosità, immigrazione ormai integrata ma con culture diverse, l’esplosione delle malattie 2.0 come non autosufficienza, disturbi psichici, malattie ambientali. Con monsignor Marco Brunetti, vescovo di Alba, ma ideatore con don Domenico Bertorello di questo originale giubileo del mondo della sanità.