In Valle Stretta e al Colle della Scala provano ad arrivare in Francia

Un reportage tratto dal settimanale La Valsusa

Parole chiave: valle susa (2), profughi (55), immigrati (10), montagne (2)
In Valle Stretta e al Colle della Scala provano ad arrivare in Francia

 Sono invisibili, non fanno nulla per apparire; neppure il colore della pelle li fa uscire dalla loro condizione di “sommersi” che aspirano ad essere “salvati”. Sono i profughi; tutti giovani, alcuni giovanissimi, parecchi i minorenni; fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla povertà. Partono dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria, dall’Eritrea, dalla Guinea Bissau e attraversano deserti, affrontano rischi, subiscono angherie e torture di ogni tipo a volte dalle stesse “autorità” (quelle libiche sembrano distinguersi in disumanità) che dovrebbero aiutarli e proteggerli. Poi trovano il modo di salire su un barcone in Libia e attraversano il mare con la compagnia e l’aiuto dei poco raccomandabili “scafisti”; rischiano di naufragare tra le onde del Mediterraneo, di essere abbandonati tra le onde. I più fortunati vengono salvati e portati sulle nostre coste. Da qui comincia un’altra avventura. C’è chi fugge dai centri di raccolta, sale lo stivale italico e prova a oltrepassare il confine perché, in mezzo a noi, proprio non vuole e non è interessato a stare. Vuole andare in Francia ma, dall’altra parte, queste persone proprio non sono gradite.

Alla faccia degli impegni internazionali e anche di parole come solidarietà e accoglienza, ormai svuotate di significato nell’Europa delle burocrazie, dei tecnocrati, degli Stati “sovrani” e delle opinioni pubbliche sempre più permeate da xenofobia e razzismo.

Così, da qualche mese, più o meno dalla fine di giugno, la marcia disperata dei profughi arriva anche in Valle di Susa per fermarsi davanti al muro delle montagne, a Bardonecchia. Non sono i numeri di Ventimiglia o di altre zone del nord Italia, ma le stime parlano di 20-30 persone al giorno che dalla Perla delle Alpi tentano (alcuni ce la fanno) di varcare il confine con la Francia. Arrivano qui perché tutte le altre porte “europee” (Ventimiglia, Brennero, Como) sono blindate. Rischi e pericoli sono tanti. Il primo, ormai “scartato” dagli stessi disperati in marcia, fino a qualche tempo fa era la galleria ferroviaria del Frejus. Avventurarsi nei 14 km del tunnel significa ingaggiare una sorta di roulette russa con la morte: la probabilità di essere risucchiati sotto i binari da un treno in transito è altissima. Così, 24 ore su 24, all’ingresso italiano del tunnel staziona un blindato con due alpini, fucile a collo. Mentre le Ferrovie stanno ultimando (dovrebbe essere pronto per i primi giorni di settembre) la posa dei dispositivi che rilevano la presenza di persone all’interno del tunnel; sistema che sul lato francese è attivo da tempo e che, sul lato italiano, viene realizzato con tempi record per un soggetto mastodontico come le Ferrovie italiane.

I profughi che arrivano col treno a Bardonecchia e che vengono attesi e controllati dalla polizia italiana (senza essere fermati) sono comunque messi in guardia dall’avviso, scritto in cinque lingue, comprese quelle arabe e africane, affisso sui muri della stazione: “ Attenzione pericolo! Se stai pensando di entrare in Francia percorrendo a piedi i binari del treno, fermati! Già alcune persone hanno perso la vita, poiché la linea ferroviaria passa in una galleria stretta e in caso arrivasse un treno non c’è lo spazio per spostarsi di lato e salvarsi. Quindi non tentare di passare il confine a piedi seguendo il percorso del treno: rischi di morire!”.

“Abbiamo deciso di mettere quegli avvisi d’accordo con il Conisa - spiega il sindaco di Bardonecchia Francesco Avato - perché la nostra prima preoccupazione è proprio quella di evitare che queste persone rischino la vita dentro il tunnel”.

L’unica strada per i sommersi che vogliono salvarsi rimane quella dei monti. Due le vie possibili: il Colle della Scala (1750 metri) e poi la discesa a Briançon. Oppure la Valle Stretta, sei ore e più di marcia a 2000-2500 metri sotto il monte Thabor per provare ad arrivare a Modane.

Un cammino che deve fare i conti con i pericoli della montagna (affrontata quasi sempre di notte, spesso con equipaggiamento inadeguato) e con la necessità di aggirare il posto di blocco della Gendarmerie francese posto bivio tra il Colle della Scala e la valle Stretta. Poi non resta che sfidare Polizia ed esercito che pattugliano boschi e sentieri con i visori notturni. Tutta la zona oltre confine è di fatto militarizzata. Ne sa qualcosa Jacopo Ricca, giornalista di Repubblica che, alla fine della settimana scorsa, ha provato a condividere il cammino di questi giovani. “Sono salito verso le 21 insieme a quattro profughi. Abbiamo aggirato il posto di blocco della Gendarmerie prendendo un sentiero per poi tornare sulla strada principale che conduce al Colle della Scala. Qui, verso l’1,30 siamo stati intercettati e fermati. Ci hanno chiesto i documenti. I poliziotti hanno chiesto ai giovani se mi avessero pagato per accompagnarli. Loro hanno detto di no ma gli agenti mi hanno trattenuto fino alle 4 del mattino e, prima di lasciarmi andare, mi hanno detto che se l’avessi rifatto sarei stato arrestato”.

Proprio con la firma di Jacopo Ricca, domenica e lunedì su Repubblica, sono usciti due servizi dedicati alla marcia dei disperati. E ieri, mercoledì, sul sito www.lapresse.it, un bel servizio a firma di Simone Gorla racconta la marcia di Idriss (Guinea Bissau) e di altri profughi alla conquista della Francia. Tanti vengono ricacciati indietro (“ tra questi parecchi minorenni – denuncia il sindaco Francesco Avato – in barba ai trattati internazionali”) e qualcuno ce la fa: “Qualche minuto fa – ci dice Jacopo Ricca – uno dei ragazzi con cui ho camminato qualche notte fa mi ha telefonato e mi ha detto che è riuscito ad arrivare a Briançon”.

Proprio vicino alla “Gare” della cittadina francese alcune organizzazioni cattoliche con i movimenti per i diritti dei migranti hanno allestito un centro di accoglienza, sostenuto dal sindaco di Briançon (che pare abbia disobbedito alle direttive del Governo francese e della Prefettura) e “tollerato” dalle forze dell’ordine francesi.

Già, il mondo cattolico. Lo stesso che sul versante italiano dà (con discrezione e senza violare le leggi) aiuto ai migranti. Come don Claudio Claudio Curcetti, della parrocchia di Lucento, e dei suoi ragazzi che - durante il campo estivo alla Maison de Chamois (quella della parrocchia di Nichelino), in Valle Stretta – hanno visto i profughi passare e non si sono certo girati dall’altra parte. “ Non tocca a me dire se sia giusto o no respingere queste persone. Il compito dei cristiani è quello di seguire il Vangelo, dare da mangiare a chi ha fame, vestire chi è nudo, aiutare chi è in difficoltà. Questo facciamo e questo abbiamo fatto. Abbiamo visto ragazzi stanchi, senza un abbigliamento idoneo per la montagna, che, se il tempo gira, rischiano di affrontare il freddo a 2500 metri solo con una tshirt”.

Don Claudio, che è impegnato nella Pastorale dei Migranti della Diocesi di Torino aggiunge che “nessuno di noi fa il “passeur”, certo non li carichiamo in auto e neppure facciamo trucchi. Ma nessuno ci può impedire di fare un pezzo di strada in compagnia di queste persone”. Già, non voltarsi dall’altra parte, non far finta di niente ma aiutare e condividere un pezzo di sentiero… Intanto, al bivio tra Colle della Scala e Valle Stretta, giorno e notte, i poliziotti ai posti di blocco fermano le auto, chiedono cortesemente di aprire il cofano per vedere se dentro c’è qualcuno. E i bardonecchiesi? In paese li vedono: “Ieri notte appena chiuso, verso l’una e mezza – racconta l’uomo del bancone del bar della stazione – ho visto un gruppetto di profughi. Erano 12, scendevano da viale della Vittoria. Succede tutti i giorni e tutte le notti”.

Sono i sommersi che, ancora una volta chiedono di essere salvati e che continuano a bussare alle porte di un Europa che pare sempre più chiusa in sé stessa.

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