Siamo tutti coinvolti

Non solo pietas ma anche opera nell'accoglienza e nella condivisione di un dolore profondo

Parole chiave: immigrazione (42), politica (133), profughi (55), asilo (4), europea (6), chiesa (665)
Siamo tutti coinvolti

La tragedia che si sta consumando da anni è drammaticamente esplosa negli ultimi mesi. Essa è figlia di una sconvolgente trasformazione in atto in una parte del mondo che ha come epicentro il Medioriente e l’Africa sahariana. I movimenti di popolazione motivati da ragioni economiche non sono una novità, sono esistiti in passato, sono presenti oggi e lo saranno in futuro. Adesso la dimensione del fenomeno è  straordinaria, epocale e riguarda milioni di persone: rifugiati, profughi e immigrati. Cosa chiedono a noi e cosa chiediamo a loro: diritti d’asilo e dignità ma anche doveri e responsabilità. Le guerre, l’avanzata dei fondamentalisti, la deflagrazione di intere nazioni: Iraq, Siria, Libia, sono il simbolo di una instabilità perdurante, scenario geopolitico storicamente inedito. Partono dall’inferno uomini, donne, bambini, famiglie, giovani e anziani. Molti muoiono in mare, dentro la stiva di una nave o nella fuga verso i nostri territori nell’intercapedine di un tir. Fuggono, scappano, hanno paura ma sfidano la morte in ogni istante. Su di loro, in modo vigliacco, si alzano barricate, muri e si sprecano parole e strumentalizzazioni. Addirittura alcuni governi li respingono mentre un’angoscia collettiva ottenebra menti e coscienze. La preoccupazione è reale e comprensibile. Le coste italiane sono al collasso ed è forte il senso di abbandono da parte delle popolazioni che vivono sulle rive del mediterraneo. Molti con coraggio sostengono e aiutano coloro che sbarcano sulle spiagge e sugli scogli del Mare Nostrum. Ma non basta. Va sottolineato che il continente europeo non è minacciata dall’invasione di questi popoli, lo dicono i dati, ma non è attrezzata ad affrontare in modo armonico e ordinato il loro arrivo.

 

L’Unione Europea solo dopo centinaia di tragedie sta per assumere provvedimenti concreti e adeguati, con forte ritardo, anche se stenta a emergere un’idea davvero condivisa. Le Nazioni Unite latitano come se l’area del Mediterraneo sia estranea alle crisi internazionali. Le potenze mondiali: Stati Uniti, Russia e Cina stanno alla finestra in modo cinico. Intanto il magma mediorientale non trova risposte e la diplomazia e l'azione di contrasto militare sono al momento inefficaci nei paesi dai quali partano per l’esodo biblico i popoli. Essi sono fratelli solo più sfortunati nati sotto cieli di violenza, guerra e soprusi, invece che in territori, come il nostro, quello europeo, culla della civiltà che nella sua storia è stato attraversato da analoghi esodi, tragedie e pagine oscure. Il cristiano s’interroga, analizza, studia e poi soprattutto agisce, perché testimone del Vangelo e della Parola di Gesù Cristo che dice «Ero forestiero mi avete ospitato» (Mt., 25-35). Bisogna essere preparati, accoglienti ed esigenti, lavorare perché, insieme ai provvedimenti diplomatici, politici, economici e culturali, si creino le basi per affrontare qualcosa d’inedito e non solo più emergenziale, nel quale tutti devono sentirsi coinvolti. Ognuno può fare la sua parte e dare il suo apporto, lo ricorda Papa Francesco, lo ribadisce il nostro Arcivescovo Cesare Nosiglia. Il cristiano prega, pensa e opera. Nessuno deve voltarsi dall’altra parte con indifferenza. La complessità della realtà non si può eludere ma va  affrontata con coraggio e responsabilità, dal locale al globale. Non basta compatire ma con-dividere. Perché come in uno specchio, nei volti e negli occhi di quegli uomini, vediamo la loro disperazione che deve essere anche la nostra.

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