Persone e diritti

L'attualità ci presenta una situazione difficile per la diplomazia internazionale sul tema dell'emergenza migrazioni

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Persone e diritti

 

C’è una strana atmosfera, si respira un’aria che evoca chiusura e incapacità di affrontare la complessità dei problemi. Un clima poco conciliante, teso,  volto ad una chiusura egoistica e nichilista, piuttosto che a nuovi modelli di convivenza. Siamo in presenza di un esodo di popoli epocale e biblico che coinvolge  donne, uomini e bambini. Persone, cuori, volti, carne della nostra carne, dunque non numeri e cifre. Una tragedia di proporzioni talmente imponenti e drammatiche per la quale sarebbe necessario evitare che ad occuparsene fossero amministratori locali o regionali. Essi sono animati da convenienze politiche e strumentalizzazioni elettorali e onestamente non hanno ne gli strumenti ne le risorse per rispondere ad un fenomeno così complesso.

Il nostro Paese, il più esposto da questa emigrazione di massa, ha chiesto aiuto all’Europa e al mondo, ricevendo rassicurazioni e impegni solenni, ancora tutti da verificare. Le persone che fuggono dalla guerra, dalla fame, da condizioni incredibili non sono un pericolo per la nostra comunità, chiedono solo di essere trattate da esseri umani. Cercano di non morire e provano a costruirsi un futuro, come fecero molti dei nostri nonni e bisnonni. Non sono clandestini - come purtroppo si sente ripetere, anche in senso dispregiativo - ma con il diritto a una forma di protezione internazionale. Il segnale che viene da alcune Regioni del Nord nuoce alla credibilità dell’Italia, che si appresta a convincere i Paesi europei a un piano sull’immigrazione che prevedrebbe il ricollocamento o l’insediamento di persone che sbarcano sul territorio italiano.

L’auspicio è che le organizzazioni internazionali si sveglino da un torpore colpevole. Servirebbe uno scatto globale dei grandi della terra per affrontare le crisi che infiammano le realtà mediorientali e africane. Si susseguono summit, incontri, vertici, che non decidono e spesso rimandano a data da destinarsi, vere strategie politico diplomatiche. Chiudersi a riccio, in un processo simile alla sindrome di Nimby, per difendere il proprio territorio, potrebbe sembrare tranquillizzante, ma rivelarsi una prospettiva folle nel lungo periodo. Il mondo evolve in una dinamica nuova e chiede di affrontare le nuove sfide della modernità, nella sua dimensione plurale e multiculturale, non come un nemico nemico ma realtà amica. Ridare dignità e autorevolezza alla politica internazionale questo è il tema, altrimenti come afferma Papa Francesco, servono costruttori di pace per edificare ponti e non muri, perché nell’indifferenza o a nostra insaputa si sta consumando la terza guerra mondiale.

Le istituzioni internazionali sempre molto attente ed impegnante nel allargare diritti in campo individuale, potrebbero essere più attive e creative nell’affrontare le emergenze sociali riconquistando maggiore affidabilità presso l’opinione pubblica. Un ultimo pensiero lo rivolgiamo, con disgusto nauseante, nei  riguardi dei protagonisti della cronaca giudiziaria di Roma e non solo che ancora una volta sconvolge la politica italiana. Oltre il fondo di una mancanza di regole morali, di rispetto e lealtà nei confronti della propria comunità c’è il baratro e l’avviano ad un processo degenerativo e irreversibile di  liquidazione di una società che pretende di definirsi civile.

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Immigrazione

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