Papa Francesco e il problema del male

Una riflessione di un docente di filosofia dell'Università del Salento su una parte rilevante della teologia bergogliana 

Parole chiave: male (3), fede (42), cristianesimo (33), bergoglio (61), papa francesco (256)
Papa Francesco e il problema del male

Lo scorso 11 Maggio, in Vaticano, nel corso di un incontro con i bambini nell’ambito della manifestazione “La fabbrica della pace”, ad una specifica domanda rivolta da un bambino sui motivi per cui i bambini debbano soffrire, Papa Francesco ha risposto che non c’è risposta. Non si intende entrare nel merito della scelta del Santo Padre.

Tuttavia, credo che ogni coscienza credente e, prima ancora pensante, non possa fare a meno di porsi il problema di come quella mancata risposta possa essere interpretata: davvero, non c’è possibilità alcuna di capire le ragioni per cui il male si presenta nella nostra vita? Oppure, le ragioni ci sono, ma è meglio non parlarne? Insomma, Dio è coinvolto nel male del mondo?

 

Com’è evidente, si tratta di questioni enormi che fanno tremare i polsi e che, nonostante questo, non smettono di interpellarci. Esse costituiscono l’ambito della teodicea, il tentativo di esonerare Dio dall’essere implicato ad un qualsiasi livello con il problema del male. La teodicea trova una delle sue prime formulazioni nel Libro di Giobbe, mentre sarà il filosofo tedesco Leibniz a darne alla metà del 1600 una formulazione compiuta.

 

Tornando a noi, il fatto che sembri plausibile pensare che di fronte al male non ci sono risposte possibili attesta il fallimento della teodicea o, meglio, il fallimento di tutti gli esperti di teodicea di comunicare che il proprio specialismo non è solo materia per addetti ai lavori. Chi, infatti, può dirsi estraneo al problema del male ed indifferente rispetto alle possibili risposte a quel problema?

 

In effetti, gli studiosi di teodicea sembrano rinchiusi in una fortezza dalla quale possono indisturbati scrutare, a distanza di sicurezza, le debolezze del mondo. Proprio quella distanza di sicurezza corrisponde, tuttavia, ad una triste abdicazione. La teodicea, e più in generale la filosofia di cui la teodicea è una parte significativa, deve uscire dalle fortezze mediante una estroversione contaminante, perché è grazie a questo stile che essa potrà fornire risposte di senso ai problemi per cui essa è nata. In questo modo, facendosi compagna di strada dell’homo patiens, essa potrà essere il volto di una misericordia che ha molto in comune con quella “carità dell’intelligenza” di cui Paolo VI aveva parlato.

 

Quanto precede, significa che allora esistono risposte belle e pronte al problema del male? No, tutt’altro. Le risposte, quelle definitive che tutti noi cerchiamo non ci sono.

Un conto, però, è di cercarle e non trovarle. Un altro conto, è di smettere di cercarle.

 

Sul primo versante, infatti, l’uomo esercita la sua missione di uomo. Sul secondo, ha invece disertato, aiutato in questo dagli specialisti più interessati alle cerimonie interne ai propri specialismi o alle proprie chiese, che al compito di comunicare adeguatamente i risultati delle proprie ricerche.

 

Ci aiutano a trovare il giusto orientamento nella dinamica appena descritte le lapidario parole scritte nel 1977 in “Fede e Critica” da Guido Morselli: “Bisogna, ragionando, convincersi che il ragionamento non è sufficiente”.

Papa Francesco

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