Libertà religiosa: Diritto e diritti

Cosa cambia nella società plurale in rapporto alle religioni e lo spazio pubblico

Parole chiave: doveri (1), intese (1), reciprocità (2), libertà religiosa (5), diritti (17)
Libertà religiosa: Diritto e diritti

Miti e stereotipi sono due della quattro parole chiave utilizzate per il ciclo di incontri organizzati a Torino a cura della «Rete italiana di cultura popolare» sul tema del pluralismo religioso. Esse rimandano ad una dimensione di staticità venata di semplicismo e dolosa banalizzazione, là dove, al contrario, riflessione e confronto ne costituiscono l’antidoto. Una dialettica, quella fra luoghi comuni e coscienza critica, alla quale non sfugge il diritto, a maggior ragione quello attinente alla libertà religiosa, stretto fra spinte conservative, veti confessionali e inerzie istituzionali da una parte, e inarrestabile mutamento dello scenario religioso dall’altra.

 La cassetta degli attrezzi predisposta dal Costituente nel 1948 per governare il fenomeno religioso fu pensata prendendo in esame la geografia religiosa dell’Italia del dopoguerra evitando ogni forma di discontinuità con le politiche ecclesiastiche del precedente sistema. Una Italia, dunque, a trazione cattolica ferma nel conservare l’assetto concordatario ereditato dal precedente regime e abituata ad un orizzonte di pluralismo religioso limitato all’orizzonte ebraico-protestante. A distanza di sessantotto anni, la carta socioreligiosa dell’Italia è radicalmente cambiata. Come sottolinea con forza Pace, da paese a maggioranza cattolica l’Italia è diventata una società percorsa da una diversità religiosa molto articolata e del tutto inedita, dove religioni un tempo considerate lontane vivono assieme in una stessa società con una prossimità fino a poco temo fa inimmaginabile.

Il problema è che a fronte di questo panorama religioso completamente trasformato la risposta istituzionale in materia di libertà religiosa continua ad essere inadeguata, vuoi per la mancanza di interesse politico e confessionale a cambiare l’assetto normativo vigente, vuoi perché l’introduzione dell’istituto delle intese previste dall’art. 8, comma 3 Cost. ha paradossalmente finito per acuire le diseguaglianze insite nella dicotomia fra confessione di maggioranza e culti ammessi alimentando, all’interno del panorama religioso italiano, quella mentalità pattizio-mercantilistica in forza della quale si accetta che il riconoscimento di un diritto fondamentale, come la libertà religiosa, finisca per essere ridotto alla stregua di ricompensa per lo sforzo di contrattazione e di lobby svolto dalle singole organizzazioni religiose a fronte della discrezionalità politico-amministrativa dello Stato. Questo spiega in buona parte perché la questione della riforma/abrogazione della legge sui culti ammessi del 1929 sia caduta in disgrazia fra le forze politiche e, in molti casi, fra le stesse confessioni religiose, fortemente attratte dai privilegi riconosciuti loro dallo strumento pattizio.  

Si è così consentito il consolidarsi di un sistema lontano da quella uguaglianza nell’accesso alla libertà religiosa voluta dall’Assemblea Costituente. Anziché un sistema orizzontale, dal dopoguerra ad oggi è andato infatti costituendosi un modello rigidamente verticistico, una vera e propria ‘piramide dei culti’ che certamente nuoce alla dimensione collettiva di libertà religiosa alimentando un vero regime di ‘caste’ dove la salita da uno all’altro dei suoi livelli richiede, ogni volta, il passaggio sotto le forche caudine di una discrezionalità politico-amministrativa imprevedibile e sostanzialmente priva di controlli, del tutto antitetica ad un maturo pluralismo, quale richiesto dalla babele delle moderne società plurireligiose.

* Università del Piemonte Orientale

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