Le statue il presidente dell'Iran e il senso del pudore

Una riflessione dopo l'episodio della settimana scorsa

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Le statue il presidente dell'Iran e il senso del pudore

La vicenda delle statue coperte al passaggio del Presidente iraniano Hassan Rouhani in Campidoglio ha già suscitato tutte le polemiche e tutti i commenti possibili, dall’ironia ben giustificata dal grottesco episodio allo sdegno perché questioni come quella dei diritti umani in Iran avrebbero meritato almeno la medesima attenzione.

Ciononostante, vorrei aggiungere qualche riflessione di carattere più generale, per esempio ponendo alcune domande di senso: le norme di decenza sono meramente culturali o ve ne sono di universali? I criteri morali si applicano anche all’arte o solo ai comportamenti “reali”? Se l’arte può trascendere i limiti dell’etica (o della pruderie, a seconda dei punti di vista), come stabilire cosa è arte e cosa è solo provocazione? (Si pensi, ad esempio, ad alcuni sgradevolissimi episodi di arte “blasfema” che hanno avuto per oggetto il crocifisso o immagini della Vergine). Ancora: gli esseri umani sono liberi di insultare ed offendere gli altri esseri umani, con la propria arte o al di fuori di un discorso artistico, e di ferirne la sensibilità? E cosa accade se qualcosa è sentito come oltraggioso da una persona e non da un’altra?

Per la maggioranza delle persone, l’atto di condurre dei bambini ai musei è lodevole in quanto ne migliora la cultura, la conoscenza e il gusto estetico, mentre pochi penserebbero lo stesso del mostrar loro immagini pornografiche. Che differenza c’è fra i nudi classici e la pornografia, immedesimandoci nel punto di vista di qualcuno esterno alla nostra cultura? Fosco Maraini, in Ore giapponesi, sottolinea con finezza ed acume una differenza fondamentale (e culturale) fra Giappone ed Europa: nel primo, la nudità delle persone è ammessa con naturalezza in certi contesti, mentre l’arte non la raffigura; nella seconda, anche in conseguenza della teologia cristiana del corpo, l’arte rappresenta il nudo ma la società lo ammette più difficilmente.

Certo, anche in Occidente ci sono stati episodi come le celebri “mutande” al Giudizio Universale di Michelangelo nella Sistina; e molto dipende da considerazioni di opportunità che vanno pensate caso per caso. Proprio nel periodo rinascimentale, in cui l’arte del nudo (maschile) assurgeva a paradigma assoluto di bellezza, molti discutevano se un tale profluvio di membra scoperte fosse adatto ad un edificio sacro: fra loro, un ecclesiastico di nome Bernardino Cirillo, che nel Cinquecento partiva proprio da tali considerazioni per invocare una riforma della Chiesa che le permettesse di porsi come modello coerente e sincero di fedeltà a Dio ed alla propria vocazione alla santità ed alla spiritualità.

In realtà, benché lo ammetta solo con riluttanza, la cultura occidentale è profondamente in debito verso il concetto giudaico/cristiano del corpo umano e della sua sacralità. Nel racconto biblico della Genesi, Adamo ed Eva (nel loro essere persona, incarnato nella loro corporeità), sono tanto santi da essere immagini di Dio. Solo dopo il peccato questa bellezza e santità loro connaturate vengono inquinate da un concetto distorto.

A mio vedere, l’episodio biblico non deve essere compreso in modo troppo semplicistico: Adamo ed Eva, prima del peccato, erano ingenui e non sapevano che essere nudi è vergognoso; dopo aver mangiato dell’albero, se ne rendono conto e si procurano abiti. Ciò sarebbe contraddittorio, implicando che il peccato rivela agli uomini una verità che Dio ha nascosto loro. Viceversa, per Adamo ed Eva, mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male significa voler decidere autonomamente ciò che è bene o male per loro, indipendentemente dalla relazione di amore con Dio che è unica garanzia di verità e di conoscenza reale. Perciò, secondo me, vedere il corpo umano come qualcosa di cui vergognarsi non è la presa di coscienza di una verità, bensì la prima manifestazione di un intelletto obnubilato dalla colpa, e la percezione arbitraria ed erronea di persone che non riuscivano più a vedere nulla con chiarezza.

Ciò è quanto molti teologi ed artisti nell’era cristiana hanno compreso benissimo, a partire da Manzoni e dal suo omnia mundamundis. Quando l’arte è fedele a se stessa ed alla propria vocazione, quando è vera arte, può aprirci uno spiraglio su quella gloriosa innocenza in cui fummo creati: la felice fierezza di avere corpi belli, con cui e tramite cui siamo chiamati ad amare. Riconosciamo i nostri amici dai loro tratti, la nostra famiglia dagli abbracci, dal suono dei passi, persino dal loro starnutire o tossire; possiamo dare vita con i nostri corpi, partecipando dell’attività creativa di Dio. I nostri corpi non sono fardelli imposti all’anima, né mali necessari che dobbiamo ignorare o nascondere il più possibile.

La purezza ha poco a che vedere con la pruderie; coloro che amano veramente la nostra realtà corporale sono anche coloro che sono più inclini a rispettarla. Il corpo umano è glorificato da coloro che lo onorano come un tempio, mentre è degradato da chi lo oggettifica.

Godendo dell’arte, possiamo vedere i nostri corpi in una luce diversa da quella della nostra esperienza e vita quotidiana; l’arte è come uno specchio che rivela a noi stessi la nostra bellezza primigenia. Ciascuno di noi, anche se siamo vecchi, brutti, grassi o sproporzionati, è una creatura di cui Dio gode: agli occhi del nostro creatore, ciascuno dei nostri corpi è tanto bello quanto i nudi perfetti della scultura classica.

Rivelarci questa realtà è una delle missioni più alte dell’arte; e, secondo me, una delle ragioni per cui è davvero una cosa buona che i bambini vadano ai musei. E, sempre a mio avviso, il presidente Rouhani si è perso qualcosa.

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