L'Islam con noi. Riflessioni sulla realtà torinese
Quale stile di dialogo in una società multiculturale e religiosa: esperienze di conoscenza, rispetto, reciprocità, differenze vissute come ricchezza e non separazione
Il tema del dialogo nella società plurale si pone come una sfida dalla quale non ci si può sottrarre. Identità culturali, religiose, tradizioni e idealità nella società plurale devono confrontarsi. Le differenze che ci sono e non vanno negate, anzitutto nell’ambito delle fedi, possono e devono, lo dice la Parola di Dio e la tradizione della Chiesa, con particolare riferimento al Concilio Vaticano II, che oggi festeggia i suoi primi cinquant’anni. La testimonianza di Cristo morto e Risorto non ci è data come scudo e terreno di scontro o di difesa, ma come segno distintivo d’amore. Troppo semplice e facile camminare con le certezze e le paure dell’Altro, più difficile e cristiano proporre al mondo prassi di speranza e bontà.
Per questo il mondo plurale, dove possono e devono convivere religioni diverse, professioni di fede differenti, richiami a Dio distanti ci devono interrogare tutti: credenti, non credenti, cristiani e donne e uomini di altre confessioni religiose. Restare indifferenti o avulsi dal contesto nel quale si vive, oppure opporsi a ogni contatto con l’altro sono posizioni destinate al fallimento, soprattutto molto pericolose nel lungo periodo, perché danneggiano tutti e non danno risalto o fanno riemergere le tipicità dell’identità culturale europea, nella sua tradizione e radice cristiana e nella sua dimensione di accoglienza, progresso, capacità di esaltare e promuovere l’umano. Religioni, civiltà, tradizioni culturali devono conoscersi, valorizzare le differenze, cogliendole e dando strumenti per codificarle e costruire, insieme, un futuro non di tolleranza, ma di condivisione. Ripartire dalle buone pratiche non è un segno di superficialità, ma la sostanza di un’urgenza concreta che ci chiama alla costruzione di una società capace di valorizzare le differenze e promotrice di reciprocità e condivisioni, che sono esperienze ben più profonde della semplice tolleranza e attenzione plurale. Ci sono esperienze nel dialogo islam e cristinaesimo nella nostra città. Evocate in questi giorni da preti e laici cattolici ne indichiamo due importanti e significative che andrebbero valorizzate, conosciute, apprezzate.
La prima è quella che fa capo a don Tino Negri, responsabile per la Diocesi, nell’ambito dei rapporti tra islam e chiesa cattolica: un centro studi intitolato a Federico Peirone, dove si studia, ci si forma e si predispone ad un dialogo autentico e consapevole e dal quale ha preso forma una rivista bimestrale «Il dialogo Al Hiwar» che dovrebbe essere strumento di approfondimento per tutta la comunità non solo ecclesiale. La seconda esperienza è quella promossa quasi venti anni da dal Movimento Ecclesiale di Impegno culturale che ha sempre agito in collaborazione con enti e realtà pubbliche e private realizzando, quindici anni fa, il Progetto «Torino - la mia città», al fine di accompagnare e assistere le donne provenienti da paesi di cultura arabo-islamica in un percorso di adattamento e partecipazione attiva nella società italiana, pur nel rispetto della cultura di origine. In questi anni ha coinvolto migliaia di donne, bambini e famiglie. Il suo principale scopo è mettersi in relazione e soprattutto fornire gli strumenti culturali per farlo. Allora ecco l’importanza dei corsi di alfabetizzazione, coordinati dall’opera instancabile e competente della prof.ssa Maria Adele Roggero, realizzati insieme, nel cuore dei quartieri, con le parrocchie e le istituzioni territoriali formative - ad esempio le circoscrizioni Borgo San Paolo, Borgo San Donato, Barriera Milano e Lingotto.
Le attività progettuali sono svolte insegnanti, volontarie, tirocinanti universitarie, mediatrici culturali arabofone e baby sitter, in orari compatibili con gli impegni famigliari e con gli orari scolastici dei figli, assicurando il servizio di assistenza dei bambini da 0 a 3 anni, e la presenza costante di mediatrici culturali arabofone. Il 19 agosto 1985 allo Stadio di Casablanca, san Giovanni Paolo II, ai giovani musulmani pronunciò queste parole: «Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Abramo è per noi uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia nella sua bontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione». Ripartiamo da qui, anche noi.
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