Il Papa e i faraoni

Il travaglio nella chiesa e le riforme di Bergoglio

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Il Papa e i faraoni

E adesso? Dopo le «staffilate» pronunciate dal Papa il 6 novembre a Santa Marta, dettate da profonda amarezza per il malcostume in Vaticano e da grande amore per il Signore e la sua Chiesa, cosa diranno quei «padri mormoranti» che secondo Marcello Sorgi (La Stampa, 5 novembre) sembrano sentirsi ingiustamente accusati di infedeltà al Papa? Francesco, che mai ha chiesto fedeltà al Papa ma sempre e solo a Gesù Cristo, ieri ha condannato l’infedeltà alla Parola che essi predicano: è questa la «rivoluzione di Francesco», santa, necessaria e non più differibile. Essa nasce dall'atto eroicamente innovativo di magistero petrino con cui Papa Benedetto, preso dolorosamente atto che, per una serie di fattori, il suo tentativo di curare i mali della Chiesa da lui crudamente denunciati nell’ultima Via Crucis dell’era Wojtyla non sortiva effetto, osò lasciare il soglio di Pietro (si realizzavano in quel momento le parole dettemi da Carlo Maria Martini dopo l’elezione di Benedetto: «Vedrai, questo Papa ti stupirà»). Lo Spirito Santo, che aveva assistito Benedetto, portò i padri riuniti in conclave a scegliere Bergoglio, il quale, con stile diverso ma identica determinazione, avviò quella riforma evangelica radicale.

Ecco, a Santa Marta Francesco ha affermato con amara fermezza che nessun cristiano, e meno che mai un sacerdote o un vescovo, può predicare il Vangelo e vivere da faraone. Dei «padri mormoranti» chi oserà contraddire questa affermazione? A chi ci provasse suggerisco di porsi questa sola domanda: «Cosa mi avrebbe detto Gesù a Santa Marta?». Per la risposta c’è solo l’imbarazzo della scelta: «guai a voi sepolcri imbiancati», «chi scandalizza uno di questi piccoli meglio farebbe a legarsi al collo una macina da mulino», «così tradisci il Figlio dell'uomo?»…

Forse non c'è stata in queste settimane una congiura nel senso tecnico di azioni concordate sotto la guida di un regista, certo c'è stata una concomitanza evidente di iniziative diverse tutte tese a mettere in difficoltà il Papa. Ebbene, l'ultima in ordine di tempo, quella delle fughe di notizie a cura dei soliti «corvi», si rivelerà per i congiurati come un grande boomerang: il popolo che da subito ha cominciato ad amare Francesco per la sua evangelica semplicità e la sua estrema coerenza tra parola e vita, questo popolo di cristiani e non (o meglio di cristiani e non ancora) che tanto lo ama ha visto in quale estrema difficoltà, in quale solitudine (quasi una nuova agonia del Getsemani) Francesco si trovi a vivere e operare a causa dei tanti nemici che il Maligno ha saputo e sa suscitare nella Chiesa; ha capito, lo sostiene con l’affetto e la preghiera («.non scordatevi di pregare per me»!) e non farà sconti a chi lo ostacolerà per tentare di prolungare ancora un poco privilegi incompatibili con la chiamata di Gesù «Prendi la tua croce e seguimi».

A costoro poco interessa la benevolenza del popolo ma forse molto peserà una generale condanna, e questo auguro loro per il bene della Chiesa e per il loro: chissà che non intraprendano il cammino di conversione.

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