Festa del lavoro... festa dei valori?

Una riflessione sulla giornata dedicata al mondo del lavoro in tutte le sue componenti

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Festa del lavoro... festa dei valori?

Non passa giorno senza che i giornali e i mezzi d'informazione ci propongano episodi di corruzione, malversazione, disonestà, disprezzo della legge in Italia. Sempre di più, sembra, ci presentiamo a noi stessi e al mondo come il Paese dei furbetti, afflitto dal peso di una moltitudine di leggi e commi, nel quale sembra impossibile ottenere giustizia per i tempi biblici e la complessità della macchina giuridica, e in cui pare che solo chi sa navigare a vista ed ignorare o accerchiare le leggi riesca ad avere successo.

È proprio così? E se sì, perché?
Io personalmente sono felice di essere italiana, ma non mi riconosco nel ritratto dell'italiano come colui (o colei) che in una legge cerca sempre lo spiraglio per aggirarla o evaderla, che non rispetta gli impegni presi, che usa la propria creatività solo per ingannare o raggirare il prossimo.
È vero che, ne sono convinta, una grande maggioranza degli Italiani è onesta, lavoratrice, generosa e coraggiosa; a questa maggioranza non viene data sufficientemente voce, contribuendo così a far sentire gli onesti una minoranza vessata ed in via d'estinzione (se non gli stupidi della situazione), e scoraggiando, fra l'altro, gli investitori esteri dal guardare al nostro Paese diversamente che come ad un covo di briganti.
È anche vero che forse c'è un problema annoso ed atavico che dovremmo guardare in faccia, anche solo per poter provare a risolverlo. Mi sono resa conto che il nostro Paese è nato dalla fusione di staterelli che, nella maggioranza dei casi, erano sotto una dominazione straniera. E quando la burocrazia ed il governo del luogo in cui sei sono alieni dalla tua cultura e dalla tua "polis", è ovvio che provare ad evadere la loro sorveglianza, a non pagare le tasse, a "fregare" il dominatore non soltanto è sentito come moralmente meno grave, ma talora è percepito quasi come un dovere civico.

Non per niente, alcuni dei più splendidi esempi di "civitas" italiana, che fra l'altro hanno dato origine ai capolavori artistici che il mondo ci invidia, venivano da realtà statali relativamente piccole ed autogovernate, prive cioè di dominazione straniera: la Repubblica di Venezia, per esempio, o le città-stato toscane del Rinascimento.
In maggioranza, però, i nostri antenati erano dominati da stranieri, alla cui dominazione cercavano di sottrarsi e le cui leggi cercavano di dribblare. E temo che questa mentalità sia largamente passata ai loro discendenti, che non riescono a sentire lo Stato come qualcosa di proprio, come qualcosa che li riguarda direttamente e di cui fanno parte; il cui bene è il loro bene, e il cui male è il loro male.

In passato, secondo me, la mancanza di senso civico era parzialmente compensata dalla presenza forte di valori condivisi, per cui la generosità, l'onestà, la solidarietà e l'onore - che venivano socialmente premiati e riconosciuti - in qualche modo supplivano alle carenze di rispetto formale della legge.
Oggi deprechiamo sì la disonestà e la corruzione, ma sembra che incoraggiare i valori opposti sia fuori moda, desueto, per non dire bigotto e reazionario.

È veramente questo che vogliamo? È un Paese così che vogliamo trasmettere alle generazioni che seguiranno?
Chiediamocelo. E non rinunciamo a vivere e premiare le cose belle, i valori importanti; e non perdiamo la speranza in un popolo forse un po' bizzarro, un po' difficile da incasellare, ma anche tanto ricco di fantasia, di bontà, di bellezza e di calore.

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Lavoro

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