Che ore sono?

Il nuovo Apple Watch, gadget teconologico o un'immagine della nostra società e dei nostri bisogni?

Parole chiave: apple (2), steve jobs (1), gianluca cuozzo (1), consumismo (1), tim cook (1)
Che ore sono?

«Che ora è?», ci chiediamo più volte al giorno, o ci viene richiesto. Per abitudine volgiamo lo sguardo al nostro polso sinistro, generalmente, e leggiamo il quadrante.

Sono passati secoli da quando le ore significative del mondo e dell’uomo erano due: l’alba e il tramonto. A questa concezione semplice del tempo si sono nei secoli aggiunte altre esigenze: il rispetto delle ore liturgiche in monastero; degli orari di produzione con la rivoluzione industriale. Oggi è tutto cambiato, perché la finanza vive su scala globale, spostando le sue ore di attività in giro per il mondo. Tuttavia, il fedele amico, l’orologio, ha sempre avuto la medesima funzione: segnare l’ora. Funzione sempre più convenzionale, per natura sua (la normatività del meridiano di Greenwich) e perché il ritmo naturale sonno-veglia, attività-riposo, basato sul sorgere e tramontare del sole, è stato radicalmente modificato dall’invenzione della lampadina. Anche per questo si è imposta una primaria richiesta all’oggetto orologio: essere preciso.

A questa funzione negli ultimi anni si sono aggiunti altri significati. L’orologio è diventato status symbol; oggetto da combinare con l’abbigliamento, espressione della propria individualità.

La stratificazione dei significati associati all’oggetto materiale pare essere il vero nodo del nuovo prodotto Apple presentato da Tim Cook, amministratore delegato dell’azienda di Cupertino. Rispondere alla domanda «che ora è?» è solo una delle funzioni dell’Apple Watch. Quella che meno stupisce.

Si può immaginare che il prodotto avrà un’enorme successo, come tutti i prodotti Apple. Quali corde riesce a toccare il marketing dell’azienda di Steve Jobs per essere sempre così efficace?

Il guru di Cupertino ha saputo rendere «evento» ogni aspetto dei suoi prodotti. Dall'invenzione alla commercializzazione, dall’acquisto al consumo. Questo per mezzo di un’intuizione semplice, ma di successo: meglio funzionale e bello che funzionale e brutto.

Dietro questa intuizione si nascondono aspetti più ampi, che riguardano la nostra società e i nostri bisogni. Con le loro conseguenze.

In un agile libretto, «Mr Steve Jobs. Sognatore di computer» (Mimesis, 2012), Gianluca Cuozzo analizza l’opera di Steve Jobs in un contesto teorico di critica della società dei consumi. Scrive Cuozzo: «questa circostanza – tale per cui, quando svanisce il senso del tutto, occorre insistere su semplici dettagli – era stata perfettamente compresa da Steve Jobs, il maniaco informatico della ricercatezza dei propri prodotti, ottenuta nell’attenta ponderazione dei singoli particolari. Il suo tentativo imprenditoriale, da questo punto di vista, consisteva nel far coincidere funzionalità del gadget tecnologico e irripetibilità dell’inventio artistica».  Steve Jobs era, continua Cuozzo, così abile nell'intuire le attese degli acquirenti perché si identificava con il suo «consumatore ideale, attento alla semplicità, all’eleganza del design, del packaging (nonostante questo finisca nel giro di poche ore nella spazzatura) e all’intuitività delle funzioni dei nuovi gadget tecnologici, percependo ‘ogni dettaglio come se fosse un organismo vivente’. Un organismo da ammirare, ‘splendido alla vista e al tatto’, e non soltanto da utilizzare, sfruttando al massimo caratteristiche di disign decisamente innovative e user friendly. Solo in tal modo, facendo attenzione alla perfezione di ogni minimo aspetto, reinventando costantemente il gadget tecnologico attraverso variazioni infinitesimali dell’identico, è possibile suscitare nell’utente ‘un attaccamento emotivo nei riguardi dell’oggetto’»

La perdita del senso del tutto e il bisogno di esso è la chiave della necessità della nostra società consumistica. Le creazioni di Apple non hanno a che fare solo con il marketing, bensì con il nostro bisogno di salvezza.

Riflettendo su questi aspetti è possibile rintracciare una chiave del successo dei prodotti Apple, e non solo. Ma, come avverte Cuozzo nelle sue tre opere successive («Gioco d’Azzardo»; «Regno senza grazia»; «A spasso tra i rifiuti») , il risvolto oscuro di questo meccanismo (il lato oscuro della forza, verrebbe da dire) è la continua produzione di scarti: materiali (le nostre discariche) e umani (i marginalizzati dalla nostra società). Una società dei consumi, la nostra, che per necessità intrinseca diventa una società dei rifiuti.

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