La preghiera nelle principali religioni del mondo

Una riflessione sul rapporto tra fedele e Dio nelle fedi dal monoteismo ai riti orientali

Parole chiave: preghiera (51), fedi (6), religioni (31)
La preghiera nelle principali religioni del mondo

Ciò che accomuna come un sottile filo rosso tutte le religioni dell’umanità è quella forma di relazione che la creatura umana instaura con il trascendente, che coincide con la preghiera. Madre Teresa di Calcutta, a questo proposito, usava dire: «Il mio segreto è infinitamente semplice. Prego. Attraverso la preghiera, divento una cosa sola nell’amore con Cristo. Pregarlo è amarlo». Questo particolare rapporto con la divinità è tipico della fede cristiana, basata sull’adesione al Vangelo, sulla coerenza con il messaggio salvifico di Cristo crocifisso e risorto, che riscontra nell’amore a Dio e al prossimo la sintesi e il fulcro del suo contenuto più autentico. In altre religioni, la preghiera, invece, assume connotati più utilitaristici e legati a visioni e interpretazioni di natura superstiziosa. Pur tenendo conto delle inevitabili sfumature e diversità, che si individuano nel policromo panorama delle religioni, la preghiera resta quel particolare modo, intimo e spirituale, di entrare in contatto con il divino da parte dell’uomo. Che sia un monaco di un tempio buddista, un islamico in una moschea, un ebreo davanti al muro del pianto, la sostanza non cambia: è sempre preghiera. E ogni tradizione religiosa adotta un suo alfabeto, proprie regole e usanze, per comunicare con una realtà altra, soprannaturale.

Nel mondo ebraico

Secondo i dettami della spiritualità ebraica, la preghiera non è mai separata dalla realtà quotidiana, dai problemi concreti e reali vissuti ogni giorno dall’uomo. L’implorazione o invocazione a Dio viene fatta in funzione della più ovvia e ordinaria esistenza. La religione ebraica, per sua natura, conosce e vive una spiritualità, una ritualità, una liturgia, che si possono definire molto legate alla famiglia e all’ambiente domestico. Il mangiare insieme è un momento di elevata sacralità, i cibi e le bevande sono preparate e consumate secondo un rituale tradizionale piuttosto rigoroso. Anche i legami famigliari contengono in sé qualcosa di sacro: feste quali lo Shabbat o la stessa Pasqua ebraica contemplano un motivo di unità famigliare e di fede da trasmettere di generazione in generazione molto sentito. Quando gli ebrei pregano in casa, le formule sono addirittura appese sugli stipiti delle porte e sui vestiti (i filatteri e lo scialle). La preghiera classica, che si legge, si celebra e si ricorda, tramite questi peculiari accorgimenti di arredamento e di abbigliamento, è lo Shemà  Israel (Deutoronomio 6, 4-9). Dall’ora del mattino presto quando ci si alza in piedi, durante il pomeriggio e fino a che non si torna a letto la sera, le ore del giorno sono scandite, per la tradizione ebraica, dalla preghiera. Una preghiera che è fortemente incardinata nella Bibbia. Tre volte al giorno si ripetono alcune benedizioni, esclamate in piedi, a piedi nudi e con lo sguardo rivolto a Gerusalemme. Altra caratteristica della cultura spirituale ebraica è il rito delle abluzioni: ci si lava tre volte con acqua prima la mano destra, poi la sinistra. Le formule di preghiera, ricavate dalla tradizione, dalla Bibbia e anche spontanee, sono declamate in tre tempi di preghiera che si susseguono durante il giorno come continua offerta a Dio nella Shacrit al mattino, nella Minchà al pomeriggio e nell’Arvith la sera. Alcune regole impongono nelle comunità o famiglie più conservatrici l’assenza delle donne, che non partecipano attivamente alla preghiera. Nel caso di una preghiera pubblica, comunitaria, perché sia tale, occorre la presenza di almeno dieci maschi adulti.

Nella cultura islamica

In base a quanto è riportato nel Corano, la preghiera assume una posizione centrale e di enorme importanza nella fede islamica: «Davanti a Te, a Te solo, ci prostriamo in adorazione; da Te, da te solo imploriamo aiuto», queste frasi compaiono tra i primi versi del Corano e si rivolgono a un Dio potente e misericordioso. La preghiera è, comunque, vista come un comando che disciplina la vita e la condotta del fedele obbediente e sottomesso all’islam. La preghiera per gli islamici è un modello di sottomissione esemplare a Dio e di assoluta obbedienza. Il rito islamico, definito in relazione alla preghiera: salat, prevede un ritmo quotidiano di orazioni da recitare per cinque volte al giorno. Ad ammonire che bisogna pregare ci pensa il muezzin, che convoca tutti a raccolta e al raccoglimento. La preghiera islamica non prescinde dalle abluzioni (fatte anche con sabbia pulita se manca l’acqua), e richiede di stare scalzi. Se non si può andare nella moschea, basta procurarsi un tappeto. Il viso deve essere rivolto in direzione della Mecca, pena la nullità della preghiera. Esiste nella preghiera islamica tutto un rituale codificato, che impone il fedele di inchinarsi, prostrarsi a terra, stare in piedi, stare in ginocchio, a fasi alterne, denominate rak’ah. Ogni formula e invocazione è introdotta dall’esclamazione consueta: Allah Akbar (Allah è grande!). Il giorno più sacro della settimana cade di venerdì, in cui si recita la preghiera più importante, in comunità, e quella principale durante il giorno si recita amezzogiorno.

La preghiera cristiana

Il messaggio evangelico è stato ereditato dalle tre confessioni-cardine cristiane che sono il cattolicesimo, il protestantesimo e la fede ortodossa. Ognuna conserva una propria identità e una sua particolare sensibilità anche per ciò che riguarda la preghiera. Mentre la preghiera dei protestanti procede dalla croce spoglia, ossia priva del corpo del Cristo, già risorto, in funzione di una vita resa “nuova” dalla grazia, riformata dunque, a quella ortodossa piace una preghiera che parte dalla trasfigurazione del Cristo sul Monte Tabor, intesa come «laboratorio di risurrezione» secondo un’interpretazione della teologa Lidia Maggi, e quella cattolica contempla e vive una preghiera essenzialmente eucaristica, attraverso il pane spezzato e il vino offerto misticamente in memoria. Ciò che caratterizza la preghiera dei protestanti, ancora, è l’ascolto della Parola di Dio, mentre per i cattolici esistono tradizioni di orazioni che si richiamano alla liturgia delle ore con i salmi, al rosario, alle invocazioni dei santi, alle devozioni derivanti dalla pietà popolare. Gli ortodossi tendono a ripetere con insistenza il nome di Gesù o a fare di continuo segni di croce. Il cristianesimo propone una preghiera che non sia solo spirituale, intima, ma che pervada la relazione con i fratelli e dunque comporti l’immedesimazione con tutti gli insegnamenti del Vangelo, e quest’ultimo, a partire dal Padre Nostro, per bocca di Gesù, sulla preghiera ha tanto da suggerire.

Che cosa dice Gesù

Quando un cristiano prega, è opinione di Gesù che egli lo faccia assumendosi le sue responsabilità: nascondimento, fiducia, tenacia  e umiltà. I quattro Vangeli sono pieni zeppi di questi atteggiamenti da tenere quando si prega. E inoltre il Cristo aggiunge: «Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro», assicurazione che Egli fa come una garanzia che la preghiera viene ascoltata e trova Gesù stesso solidale e partecipe. Ma nel Padre Nostro la preghiera cristiana si rivela in tutta la sua profondità e concretezza. Questa preghiera che troviamo completa nel Vangelo di Matteo è un portento di chiarezza e concisione assolute. Ti sembra che stai dando tu degli ordini a Dio quando pronunci: venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà, dacci…, rimetti…, liberaci……, ma è il Signore che, invece, attraverso la preghiera ti assegna dei compiti, ti incarica di agire perché venga il Suo regno e sia fatta la Sua volontà, perché perdoni i tuoi peccati, perché ti liberi dal male. Alessandro Pronzato, giustamente, osserva: «Dio chiede a noi ciò che noi chiediamo a Lui» (“Il Padre Nostro”, 1997, Gribaudi). Il Regno, il Pane e il Perdono sono affar tuo, e tu collabori con Dio per realizzare quanto chiedi in questa preghiera. Quante volte si recitano preghiere in modo distratto, si blatera come i pagani, adottando un’espressione evangelica, dicendo tante parole. Ebbene con il Padre Nostro questi errori sono fugati, purché si prenda sul serio quanto si domanda al Padre, e sono tutte richieste legittime, vitali, imprescindibili, ma che chiedono a te, cristiano, di assumerti le tue responsabilità davanti a Dio, alla tua coscienza e ai fratelli.    

Respiro dell’anima

Trattando della preghiera biblica, la teologa Lidia Maggi così fa riflettere nel suo volumetto “Preghiera” (Emi, 2006): «La preghiera, di cui parla la Scrittura, più che come pratica religiosa, si presenta come respiro dell’anima, momento in cui attingere quell’aria indispensabile per vivere. Senza la relazione con Dio siamo solo polvere. Nella preghiera le narici respirano l’alito divino ricevuto con la creazione, accolgono lo spirito di vita». Occorre ossigenare la vita quotidiana con la preghiera, che a tutti fornisce alimento spirituale, energia vitale, alito divino. Nella Bibbia un intero libro è dedicato alla preghiera: il Libro dei Salmi. Attraverso di essi si scopre come la preghiera diventi richiesta d’aiuto, intercessione, lode, ringraziamento, supplica, richiesta di perdono, pentimento, desiderio di Dio e bisogno dell’uomo di riposare in Lui.

La preghiera nelle religioni orientali

Nell’ambito del buddismo, la preghiera ha attinenza con il sentimento del dolore umano, che non è costituito solo dalla malattia, dalla morte, ma anche dalla condizione di provvisorietà e precarietà in cui versa la vita umana. La preghiera, consistente più che in formule e invocazioni – tra cui si contraddistingue il rosario buddista –, nella meditazione, tende ad aiutare chi pratica il buddismo a togliere il desiderio, fonte della sofferenza umana perché esso è sempre insoddisfatto e deludente. L’obiettivo, tramite la meditazione, che si raggiunge con pratiche e discipline varie, è quello dell’impassibilità o assenza di dolore, il cosiddetto stato del Nirvana, quando si è diventati una cosa sola e si è fusi con l’energia cosmica. Sul fronte dell’induismo, l’obiettivo della preghiera, vista e intesa come forma di ascesi o pratica della pietà, è liberare la creatura dal ciclo delle incarnazioni cui è soggetta, troncando ogni legame con la vita terrena, falsa, ingannatrice, solo apparente. La vera vita, la vera realtà stanno dietro il velo delle cose terrene, queste ultime considerate come mere illusioni. Il dissolversi, il raggiungere il Tutto, il Brahman, è il fine di ogni indù.

I gesti nella preghiera

Prima che si adottasse l’uso di tenere le mani giunte, per pregare, sin dai tempi più remoti del cristianesimo, si tendeva, invece, a stare in piedi con le braccia levate in alto e le palme delle mani verso il cielo. O meglio con le braccia tese in croce, nella stessa posizione del Cristo Redentore. Un’altra posizione consueta è la prostrazione a terra, la proskinesis, o humiliatio dei monaci occidentali. Quando si sta poi in ginocchio con il capo chinato, questa è un’altra postura presa in prestito dalla Tradizione per manifestare il pentimento. Le mani giunte e lo stare inginocchiati prendono piede tra i cristiani, come corretti modi di pregare per adorare, umiliarsi e dimostrare pentimento, a partire dall’XI secolo. Tertulliano e Cipriano, nei primi secoli del cristianesimo, invitano ad assumere queste posizioni mentre si prega, come più adeguate e rispondenti all’atteggiamento dell’orante, mentre considerano sconveniente lo stare seduti. Nelle “Vite dei Padri”, testo greco tradotto in latino nel VI secolo, si ribadisce l’importanza di un certo modo di pregare: alla domanda «come dobbiamo pregare?» un monaco del deserto di nome Macario risponde, prendendo spunto da ammonimenti evangelici: «Non è necessario adoperare molte parole. Basta tenere le mani levate». Sant’Agostino predilige nella preghiera non tanto la postura – per lui lo stare in piedi, o inginocchio, o prostrati a terra, non fa quasi differenza, si tratta solo di «indizi» –, ma quello che conta di più è la disposizione d’animo, «l’intenzione, che non si vede, ma che Dio conosce», come spiega chiaramente nel suo De cura pro mortuis gerenda.

Perché pregare

La riscoperta della preghiera è un fenomeno che si è verificato da alcuni anni a questa parte anche in Occidente, dove le manifestazioni di ateismo e di secolarismo sono state e sono preponderanti e molto frequenti, e hanno significato il più delle volte un allontanamento sistematico dalla Chiesa e dal culto religioso. Il culto religioso non è tale, risulta incompleto, incompiuto, lacunoso se non comprende in modo particolare la preghiera. Eppure la preghiera, individuale o comunitaria, è sopravvissuta, non solo come devozione popolare, ma anche come un riflesso oggettivo del bisogno del divino, di cui l’uomo non può evidentemente farne a meno. Ha scritto, confortando tale valutazione, papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Dominum et Vivificantem”: «La nostra difficile epoca ha uno speciale bisogno della preghiera.

In questi ultimi anni va pure crescendo il numero delle persone che, in movimenti e gruppi sempre più estesi, mettono al primo posto la preghiera ed in essa cercano il rinnovamento della vita spirituale». Si manifesta attraverso la preghiera un ardore di fede e un ritorno alle tradizioni religiose che non sono da sottovalutare. La preghiera costituisce un valore autentico di fede feconda quando essa esprime più che mai la consapevolezza che l’uomo ha della sua dipendenza da Dio, della necessità di dialogare con Lui. Nel Vangelo Gesù ha dichiaratamente promesso che a chiunque chiede sarà dato, a chi bussa sarà aperto, e chi domanda lo Spirito Santo gli sarà donato in abbondanza. E questo sia il fine ultimo della preghiera: un’effusione di Spirito Santo su ogni uomo e su tutta l’umanità. Il grido di Cristo sulla Croce «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?», come riporta il Salmo 22, che continua: «Dio mio assente e lontano!», è terminato con la risurrezione.

La preghiera di Cristo in quel momento cruciale, dunque, venne esaudita, proprio come riprende lo stesso salmo con cui aveva esordito: «Esaudito, esaudito mi hai… Questo ha fatto il Signore!». L’esperienza del Figlio dell’uomo insegni a ogni uomo e donna che la sua preghiera viene sempre ascoltata e che Dio, come riferisce il Salmo 22, «dal suo povero non toglie mai lo sguardo e il grido d’aiuto Egli ascolta e sempre esaudisce». Da questo salmo l’invito a gustare la preghiera nel constatare come la croce sia un segno di risurrezione, come la speranza e la fede trovino sempre in Cristo un cammino fatto di preghiera continua, e che ha come orizzonte la risposta consolatoria e liberatoria di Dio.                     

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