"Consumare le ginocchia" alla Due giorni del Clero mons. Sigismondi

Intervista all'Assistente Centrale di Azione Cattolica che porterà la sua testimonianza all'incontro del 28 settembre

Parole chiave: azione cattolica (26), chiesa (665), mondo (65), fraternità (9)
"Consumare le ginocchia" alla Due giorni del Clero mons. Sigismondi

Il Vescovo di Foligno e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata affronta il tema della fraternità e la formazione per La Voce e Il Tempo

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La Chiesa italiana sta attraversando, come la società del nostro paese, grandi cambiamenti. Il dialogo tra generazioni e l’importanza dell’annuncio del Vangelo della gioia, ricollegandosi alle parole di Papa Francesco, sono l’orizzonte al quale tendere, in quale modo?

 

A questo interrogativo risponde l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, nella quale Papa Francesco suggerisce alla Chiesa la parola d’ordine: «uscire». L’icona più luminosa della «Chiesa in uscita missionaria» è il cuore aperto di Gesù, da cui sono scaturiti «sangue ed acqua», simboli del Battesimo e dell’Eucaristia. Il libro di testo che esprime più profondamente l’identità di una Chiesa «in uscita» è quello degli Atti, che segue il percorso di evangelizzazione tracciato dallo Spirito santo ai «Principi degli apostoli». Nella vita pastorale è necessario un cambio di passo, consumando non solo i sandali ma anche le ginocchia! «Non ci culliamo – raccomanda Papa Francesco – in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni (…). Il cristiano sa che il Regno di Dio, la sua Signoria d’amore sta crescendo come un campo di grano, anche se in mezzo c’è la zizzania». La vita pastorale non ha bisogno di piani o di progetti, ma della capacità di spargere il seme della Parola a piene mani, sulla strada come sui sassi, sulle spine come sulla terra buona. Cosa giustifica tale apparente spreco di risorse? L’incrollabile fiducia nella bontà del seme e, in particolare, la consapevolezza che il seminatore è un uomo che getta nel terreno un seme di quercia: sa che l’albero non sarà per lui!

Assistiamo a molte sfide: l’immigrazione epocale, la necessità di ribadire la difesa della vita, di ogni vita, la sua dignità e irripetibilità, oggi più che mai minacciata e violentata (i morti tra i profughi), le guerre dichiarate e non dichiarate, il terrorismo. C’è un problema di equità ed uguaglianza che i cristiani debbono mettere al centro della loro opera nel mondo, come?

Quello dell’immigrazione è un problema che va misurato col respiro della grande storia. Nella riflessione sulla questione migratoria c’è posto per tutti: per chi è preoccupato della sicurezza e per chi dell’accoglienza; per chi desidera preservare identità e tradizioni e per chi vede con favore l’incontro delle culture; per chi non vuole mettere in discussione diritti acquisiti e per chi sostiene l’esigenza di una riforma degli stili di vita. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo nella misura delle loro concrete possibilità. A chi teme un’eccessiva «indulgenza cattolica» verso il fenomeno migratorio è necessario ricordare che la storia cristiana è interculturale: da sempre vede in prima linea uomini e strutture della Chiesa impegnati a promuovere un efficace lavoro educativo che comincia sui banchi di scuola. È innegabile, infatti, che la sfida dell’integrazione passa nelle aule scolastiche, ove si impara a risolvere la contrapposizione tra identità e accoglienza e si educa a garantire la convivenza nella differenza. Non possiamo permettere che il rifiuto dello straniero si insinui nella formazione delle classi degli istituti scolastici, magari con la scusa di salvaguardare il livello degli studi.

 

Si parla di fraternità ed è quella che oggi arranca tra il turbine della comunicazione onnivora e troppo spesso superficiale dei mille media, sociali e istituzionali. Come coniugare fede, vita, valori, in politica, nella società nella stessa dimensione ecclesiale?

 

Il turbine della comunicazione onnivora moltiplica i contatti e impoverisce le relazioni, e tuttavia occorre esplorare la frontiera dei media digitali con entusiasmo sincero, senza sottovalutare l’insidia della dipendenza che internet e i social network contengono, ma anche senza ignorare le potenzialità che offre questo nuovo ambiente comunicativo e informativo alla stessa ministerialità laicale, che non può essere declinata prevalentemente in termini di manovalanza pastorale, poiché il Corpo ecclesiale – per riprendere un’espressione di Vittorio Bachelet – ha bisogno di «meno sacrestani e più cristiani», che sappiano «vivere da laici nella Chiesa e da battezzati nel mondo». Lo sviluppo ordinato di una civile società pluralistica postula la necessità di autentici «uomini ecclesiastici», impegnati sia a sostenere la fatica del processo democratico, sia a testimoniare che «l’etica si configura non come un fattore esterno rispetto alle attività temporali, ma come condizione intrinseca del loro costruttivo svolgimento». Edificante, al riguardo, è la testimonianza di un laico folignate di AC, Leonello Radi, cresciuto alla «scuola» di Giorgio La Pira e di Carlo Carretto, che confida ad uno dei suoi figli questa regola di vita: «Vedi, Luca, la parola più vicina ad etica è libertà. Anzi, ti dirò di più: avrai una tua etica solo se sarai libero».

Le frontiere del dialogo ecumenico a 500 anni dalla Riforma e quello interreligioso: conoscenza, cammini comuni, reciprocità e dialogo nella vita concreta delle persone delle famiglie.

Prima di andare verso l’altro, l’ecumenismo è un andare verso Cristo: questo è quanto insegna la storia a 500 anni dalla Riforma. L’ecumenismo è un cammino di conversione, inteso come sincera volontà di seguire il Signore fino a Gerusalemme. L’ecumenismo ha bisogno della lezione della storia, che aiuta non solo a comprendere le situazioni in cui si è consumato lo scisma, ma anche a trovare le motivazioni per raggiungere la meta dell’unità visibile tra i cristiani. L’unità è, da un lato, frutto della fede e, dall’altro, un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile il Vangelo a coloro che non conoscono ancora il Salvatore o lo hanno quasi dimenticato. Il vero ecumenismo, riconoscendo il primato dell’azione divina, esige innanzitutto pazienza, umiltà, abbandono alla volontà del Signore. Accanto alla sfida dell’ecumenismo si colloca quella, non meno impegnativa, del dialogo interreligioso. «Le religioni non sono cammini che si sfidano, ma che aiutano a ritrovare le radici dell’umanesimo». Dopo le «primavere arabe», a cui sono seguiti i «rigori di un inverno» portato da correnti estremiste, la stessa libertà religiosa dei cristiani che vivono nei paesi islamici deve essere tutelata, senza alcuna ambiguità, condannando in modo unanime il crimine di invocare il nome di Dio per uccidere i fratelli. 

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