Benedetto XV: il Papa dell'"inutile strage"

A cento anni dalla nota contro il conflitto inviata ai Paesi belligeranti

Parole chiave: inutile strage (1), guerra (63), papa (648), pace (90), benedetto xv (7)
Benedetto XV: il Papa dell'"inutile strage"

«Fin dagli inizi del nostro pontificato, fra gli orrori della terribile bufera che si era abbattuta sull'Europa, tre cose sopra le altre ci proponemmo». Il 1° agosto 1917, cento anni fa, Benedetto XV invia la «Nota ai capi dei popoli belligeranti» intitolata «Dès le début. La lutte terrible, qui apparaît de plus en plus comme un massacre inutile» che definisce la guerra una «inutile strage»; parla di «follia e suicidio dell'Europa. Il mondo civile dovrà ridursi a un campo di morte? E l'Europa correrà, quasi travolta da una follia universale, incontro a un vero e proprio suicidio?»; chiama la pace «grande dono di Dio»; condanna il libe­ralismo; scongiura i contendenti a comporre pacificamente le contese; si offre come mediato­re; indica sette «punti fissi per una pace giusta e duratura», visionati anche da mons. Eugenio Pacelli, gio­vane nunzio in Baviera: disarmo del­le parti; arbitrato internazionale; libertà dei mari; sen­tenza internazionale con l’elenco dei danni di guerra; sentenza internazionale con le spe­se di guerra; evacuazione dei territori occupati e indipendenza del Belgio.

Le tre cose che Benedetto XV si propone sono: «Una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si conviene a chi è padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli; uno sforzo continuo di fa­re a tutti il maggior bene che si potesse, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità e di reli­gione, come ci dètta  la legge universale della carità e il su­premo ufficio spirituale a noi affidato da Cristo; infine la cura assidua, richiesta del pari dalla nostra missione pacificatrice, di nulla omettere, per quanto era in poter nostro, che giovasse ad affrettare la fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una pace giusta e duratura».

Dopo la morte di Pio X il 20 agosto 1914, il Conclave con 65 cardinali – tra cui il cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy – il 3 settembre 1914 elegge il cardinale Giacomo Della Chiesa, 60 anni, genovese, arcivescovo di Bologna. L’8 settembre pubblica l’accorata esortazione alla pace «Ubi primum in beati».

Nelle previsioni la guerra doveva finire presto. Ma Benedetto XV ha la sensazione che non sarà così: «Dal supremo fastigio del ministero volgendo intorno lo sguardo a tutto il gregge, indicibile è l'orrore e l'amarezza che ci ha riempito l'animo nel contemplare l'immane spettacolo di questa guerra, per la quale vediamo tan­ta parte d'Europa devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggiare di sangue cristiano. E poiché dobbiamo essere e sia­mo pronti a dare la vita, è nostro fermo proposito nulla omettere che possa affrettare la fine della calamità. I figli della Chiesa implorino da Dio, arbitro e si­gnore di tutte le cose, che memore della sua misericordia, deponga que­sto “flagello dell'ira sua”, col quale fa giustizia dei peccati. Scongiuriamo coloro che reggono le sorti dei popoli a voler porre da parte i loro dissidi. Considerino come già troppi siano i lutti e le miserie: bastino le rovine che già sono state prodotte, basti il sangue che già è stato sparso. Si affrettino ad accogliere sentimenti di pace e a sten­dersi la mano».

Le guerre non soltanto non hanno mai risolto i problemi, ma sono state le premesse di altre guerre perché hanno crea­to situazioni di ingiustizia, hanno calpestato diritti e hanno alimentato sentimenti di rivalsa: il revanscismo francese per la sconfitta di Sedan nel 1870 fu una delle cause  della prima guerra mondiale; il revansci­smo tedesco per il trattato di Versailles del 1919 sarà una delle cause della seconda guerra mondiale. I due conflitti mondiali provocano un numero di morti tre volte superiore a quelli che si erano avuti nei due millenni precedenti. Nella prima sono mobilitati 65 milioni di soldati; muoiono 10 milioni di soldati; 37 milioni sono i feriti e i mutilati, prigionieri e dispersi; incalcolabili le perdite civili. Nel secondo conflitto si accentua il coinvolgimento delle popolazioni civili: quasi 54 milioni di persone muoiono nei campi di battaglia, sotto i bombardamenti aerei, nei campi di concentramento, per malattie e fame conseguenti alla guerra.

Per la condanna del liberismo e il rifiuto della guerra co­me soluzione dei conflitti Benedetto XV (1914-1922) è considerato il «padre guardiano» di un ordine da fondare sulla legge naturale valida per tutti. Gli otto anni del suo pontificato sono punteggiati da documenti in favore della pace. Scrive nella prima enciclica «Ad Beatissimi Apostolorum» (1° novembre 1914): «Il tremendo fantasma della guerra domina dappertutto, e non c’è quasi altro pensiero che occupi le menti. Nazioni grandi e fio­rentissime sono sui campi di battaglia. Quale meraviglia se ben fornite, come sono, di quegli orribili mezzi che il progres­so dell'arte militare ha inventati, si azzuffano in gigantesche carneficine? Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni gior­no la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti. E chi direbbe che tali genti, l'una contro l'altra armata, discendo­no da uno stesso progenitore? Chi li ravviserebbe fratelli, figli di un unico Padre che è nei cieli?».

Il 28 luglio 1915 una nuova esortazione ai popoli belligeranti e ai loro capi. Il suo compito di pacificatore non è terminato con la fine delle ostilità: con «Quod iam diu» (1° dicembre 1918) indice pubbliche preghiere per la conferenza di pace: «Tace finalmente il fragore delle armi: non ancora la pace ha solennemente posto fine alla grande guerra»; con «Paterno iam diu» (24 novembre 1919) indice una raccolta di offerte per i fanciulli indigenti; in «Annus iam plenus est» (1° dicembre 1920) rivolge un nuovo appello per i fanciulli che soffrono le conseguenze della guerra.

Purtroppo, Benedetto XV non solo non fu ascoltato, ma fu dileggiato in ogni maniera e accusato di parzialità dalle parti in con­flitto.

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