Scuola, riforma a metà

L'attuazione della legge ha finora zoppicato, molte le questioni aperte: dal ruolo dei presidi al sostegno degli studenti disabili 

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Scuola, riforma a metà

L’attuazione della legge sulla Buona Scuola ha finora zoppicato. Le aspettative - esagerate - che il provvedimento migliorasse vari aspetti della vita scolastica restano per ora un auspicio più che diventare realtà. Neppure la stabilità del personale docente (la fine della cosiddetta ‘supplentite’) si è concretizzata in situazioni ben definite. Il ministero dell’Istruzione non è riuscito a regolare le immissioni in ruolo di circa 80 mila ex precari con criteri di efficienza: da qui malumori, proteste, ricorsi.

Si sapeva che la maggior parte dei precari risiedeva nel Sud dell’Italia e che, invece, i posti di insegnamento da assegnare erano dislocati soprattutto al Nord. Nessuno ha avuto l’accortezza di mettere a punto soluzioni preventive per evitare, almeno in parte, trasferimenti forzati che, a loro volta, hanno dato origine ad altre immediate richieste di rientro in sedi meno lontane dall’abitazione. Per tamponare le falle si sono moltiplicate le sanatorie: il rimedio è stato peggio del male. Mai come quest’anno si è infatti verificata una mobilità straordinaria: un docente su tre ha cambiato sede con un forte colpo alla continuità didattica. Tutti sapevano, purtroppo nessuno è intervenuto e la scuola ha dato l’impressione di essere più sollecita alle esigenze dei docenti che a quelle degli allievi.

Ma questa non è che una delle difficoltà in cui il provvedimento di Renzi e Giannini è andato a sbattere. L’ottima idea del potenziamento dell’organico (cioè dotazioni aggiuntive di insegnanti per migliorare l’offerta didattica) è stata seriamente condizionata dall’esubero di docenti in alcune discipline a scapito di altre. Le scuole chiedevano, per esempio, docenti di matematica e si trovate con professori di diritto. Non meglio, a quanto sembra, è andata l’attribuzione del bonus ai maestri e professori più bravi (anche questa sulla carta una buona iniziativa) se, come è accaduto, in molti istituti si sono verificate situazioni conflittuali difficili da gestire. 

Bisogna riconoscere - accanto a questi aspetti critici - che Renzi ha comunque rimesso al centro della vita politica e sociale la questione scolastica, sostenendola con l’iniezione di cospicui finanziamenti giunti alle scuole dopo anni di sofferenze economiche. Probabilmente, come gli era stato suggerito da osservatori autorevoli, avrebbe dovuto puntare su poche cose (ad esempio il potenziamento dell’autonomia e l’attivazione di buone sinergie tra valutazione e miglioramento scolastico) anziché disperdersi su troppe questioni.

Nel proposito di ‘rifare la scuola’ Renzi e Giannini hanno voluto bruciare i tempi, favorendo il ritorno a un neocentralismo dirigista con una certa sopravalutazione della capacità del ministero dell’Istruzione (affidato più a manager che a uomini di scuola) di gestire il cambiamento. La realtà è tuttavia molto diversa e complicata di quella di qualche decennio orsono.

Alla fine chi ha pagato per tutte le disfunzioni è stato il ministro Giannini, l’unico esponente del governo Renzi che non è stato confermato. L’ha sostituita la sen. Valeria Fedeli, donna inesperta di scuola (per sua stessa ammissione), incorsa non appena insediata in alcuni infortuni e ora impegnata a ritessere con i sindacati le fila per salvare il salvabile. Nei giorni scorsi - proprio nell’ultima scadenza utile - sono stati frattanto presentati otto decreti che completeranno la Buona Scuola in altrettanti comparti che la legge ha lasciato alla decretazione legislativa (ved. schede pubblicate a fianco).

Intorno a questi decreti e alla loro attuazione e agli accordi con i sindacati per il rinnovo del contratto dei docenti si gioca il secondo tempo della Buona Scuola e la possibilità di rimediare alle carenze finora lamentate. Molte questioni - dal ruolo dei presidi alle «chiamate dirette» dei docenti - dovranno essere regolamentate. L’esperienza sindacale del ministro Fedeli (a lungo al vertice dell’organizzazione di categoria dei tessili Cgil) potrebbe risultare preziosa. Sarà fondamentale, in ogni caso, che il ministro abbia ben presente che la scuola è un’istituzione per gli studenti e le loro famiglie e - pur nel rispetto dei diritti dei docenti - non da regolare in funzione di questi ultimi.

Nei prossimi mesi andranno rivisti e approvati in sede parlamentare gli otto decreti al momento semplicemente proposti dal governo. Essi affrontano alcune questioni molto complesse e delicate come gli interventi a favore dei disabili, le norme relative alla formazione dei professori (si cambia per la terza volta il sistema in meno di 20 anni!), l’organizzazione del ciclo educativo 0-6 anni, il nuovo regime degli esami di terza media e di maturità, il riordino dell’istruzione professionale. 

Tre questioni si presentano particolarmente delicate. 1) In materia di disabilità in questi anni ci sono state molte disfunzioni, a cominciare dallo scarso rispetto della continuità didattica e dall’incremento di certificazioni su cui grava il legittimo sospetto che in qualche caso siano state funzionali all’aumento dei posti di sostegno: temi su cui occorre la massima chiarezza a tutela in primo luogo degli alunni bisognosi di interventi specialistici; 2) l’attuale testo di decreto non dà soddisfacente soluzione alla formazione dei docenti delle scuole paritarie, creando un «doppio canale» che contrasta con l’unitarietà del sistema scolastico (statale e paritario); 3) il positivo rafforzamento dei servizi per la prima infanzia sarà efficace se rispetterà il pluralismo pedagogico e gestionale che ha finora connotato questo settore, eviterà qualsiasi precoce scolasticismo e si terrà stretta la vicinanza delle famiglie. Come si vede, questioni non da poco.  

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