Scuola: il precariato va regolato, la sentenza della Corte di Giustizia

Una problematica che riguarda circa 250mia professori. Gli impegni del Governo del progetto "la buona scuola" e le reali prospettive per i prossimi anni

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Scuola: il precariato va regolato, la sentenza della Corte di Giustizia

Tutti i nodi vengono al pettine. Mai un proverbio si adatta in modo così efficace alla sentenza, pronunciata nei giorni scorsi dalla Corte di Giustizia europea con sede a Lussemburgo sui precari della scuola. La Corte ha dichiarato illegittima la prassi (ormai quarantennale) di ricoprire circa un quarto dei posti di insegnamento con il ricorso a personale con incarico a tempo determinato, rinnovabile di anno in anno.

Circa 250 mila docenti hanno ora diritto a essere sistemati in via definitiva, anche se il Ministero per il momento non ha ancora ufficialmente preso posizione. Il ministro Giannini si è limitata a ricordare che c’è un preciso impegno per un’assunzione di 150 mila precari nell’ambito del progetto “La buona scuola”. Ma nella legge di stabilità le risorse mese a disposizione non sembra siano sufficienti e si dovrà probabilmente procedere a scaglioni.

Era facilmente prevedibile quanto si è verificato in questi giorni. L’Italia a suo tempo sottoscrisse impegni a livello comunitario con i quali si impegnava a impiegare i precari per non oltre un triennio e, come è largamente noto, ci sono precari in servizio anche da 10-15 anni. L’infrazione è talmente evidente che è addirittura imbarazzante spiegarne le ragioni.

Per capire l’incredibile situazione in cui l’Italia scolastica è finita occorre risalire indietro nel tempo fino agli inizi degli anni ’90 quando attraverso un patto silente governo e sindacati concordarono di sospendere i concorsi e di affidare alle graduatorie permanenti la gestione del personale docente e non docente. Da quel momento le liste dei precari cominciarono ad allungarsi fino a giungere alle cifre di questi giorni.

I nodi sono venuti in questi giorni al pettine perché – così come molti osservatori da tempo lamentavano – qualsiasi organizzazione non può funzionare in modo permanente se si affida al principio del precariato. Prima o poi era evidente che il sistema sarebbe collassato. Negli anni passati non sono, invero, mancati tentativi di porre un argine alle graduatorie con il proposito di esaurirle e dar vita a un ciclo virtuoso di concorsi (ministri Fioroni e Profumo), ma la resistenza sindacale è stata implacabile. Le organizzazioni dei docenti alla fine l’anno spuntata: tutti dentro.

Bisogna ora chiedersi se questa operazione farà bene alla scuola. Ci sono molti motivi per dubitarne. Il primo riguarda la composizione interna al plotone dei 250 mila precari: secondo i dati forniti dal Ministero sussistono squilibri difficilmente componibili.

Si registra, per esempio, un surplus di maestri elementari mentre sono insufficienti i docenti di discipline tecnico-scientifiche. Una parte dei 250 mila precari (si parla di una quota intorno ai 30 mila) nel frattempo ha trovato altra sistemazione al di fuori della scuola. Potranno queste persone – che difficilmente rinunceranno a un posto “sicuro” – entrare in modo profittevole nella vita della scuola dalla quale mancano ormai da molti anni? Molti osservatori fanno poi osservatore che un’assunzione così massiccia rischia di fare da “tappo” per quanti, in questo momento, sono appena laureati e aspirano a un posto di insegnamento.

L’incapacità dei governi che si sono succeduti dagli anni ’90 di regolare la gestione del personale docente e non docente (perché anche tra gli amministrativi si verifica lo stesso fenomeno) e la politica dei sindacati a tutela dei precari storici (non fare i concorsi per non mettere a rischio i posti di lavoro) ha prodotto una miscela esplosiva che rischia di assorbire molte risorse senza che, come contropartita, sia garantito il miglioramento della scuola.

Tutti i più qualificati documenti internazionali insistono sulle politiche attive riguardanti gli insegnanti come strategia per migliorare la qualità scolastica. Da noi la scuola sembra interessi sono perché assicura posti di lavoro. Con buona pace dei propositi enunciati nel progetto “La buona scuola”.

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