«La mia Mosul, così bella e perduta»

Lo scrittore iracheno Younis Tawfik ricorda la sua città occupata dall’Isis. I cristiani perseguitati e in fuga e l’avanzata degli uomini in nero, l’ombra dell’odio e della violenza che dilaga nella terra dei profeti

Parole chiave: tawfik (1), jihad (4), isis (33), iraq (13)
«La mia Mosul, così bella e perduta»

Una delle mie quattro sorelle, residente nel quartiere armeno, mi racconta che le case confiscate dalle milizie radicali sono diventate abitazioni per famiglie di jihadisti provenienti da tutto il mondo. Ci sono inglesi, francesi, tedeschi, olandesi e persino ceceni con moglie e bambini. Alcuni di loro si vantano di avere tre o quattro spose, a tempo determinato, e tanti figli. Intere ville abbandonate con tutto l’arredamento sono state occupate da persone lerce, con i capelli lunghi e la barba trascurata sul petto, donne nascoste dietro i niqab e i muri delle case, bambini scalzi e sporchi lasciati a giocare per le strade. Ho visto mia sorella piangere mentre mi raccontava su skype la tragedia dei suoi vicini: «Povera gente, nostri amici e vicini che mai hanno fatto del male a nessuno».

L’ombra dell’odio e della violenza dilaga nella terra dei profeti, minaccia i cristiani, già a lungo perseguitati dall’integralismo, ma anche gli sciiti, i curdi, gli ebrei, e gli stessi musulmani che rifiutano l’oscurantismo jihadista dell’Isis e delle altre affiliazioni fondamentaliste. I guerrieri islamisti che si sono impossessati della rivolta popolare siriana contro la dittatura di Assad, anche per la colpevole inerzia delle democrazie occidentali che non hanno sostenuto per tempo le sacrosante istanze di libertà della “primavera araba”, manovrano cinicamente la leva del terrore.

Questi esaltati hanno diffuso video crudeli di esecuzioni sommarie e crocifissioni, prima di questa vergognosa schedatura delle case. Ma non è certo la fede religiosa a muoverli. Sono miserabili saccheggiatori e violentatori di donne. La loro propaganda contempla remote minacce di sottomettere Roma, ma la loro strategia mira alla conquista delle capitali arabe, a cominciare da Baghdad e Damasco, scommettendo che subito dopo possano cadere nelle loro mani anche la fragile Giordania e la moderna Beirut. Il loro obiettivo è di portare a termine il disegno egemonico in cui ha fallito al-Qaeda. Sono crudeli ma realisti: la sfida a Israele non rientra nei loro piani immediati di conquista del mondo arabo. Così la sfida lanciata contro le comunità cristiane dell’Iraq, costrette a una tragica fuga con cui viene recisa una convivenza millenaria, diviene il simbolo della volontà iconoclasta di fare tabula rasa della storia e della civiltà della regione.

leggi l'articolo completo su «il nostro tempo» di domenica 22 febbraio

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