L'Europa e il suo destino...ripartire dalla Grecia

Teorie eurocritiche e pensiero sociale cattolico, nella riflessione del documentario "Il più grande successo dell'euro"

Parole chiave: grecia (13), europa (177), euro (188), crisi (35), politica (133), economia (65)
L'Europa e il suo destino...ripartire dalla Grecia

L'Unione Europea è percepita da molti come uno strumento cooperativo per affrontare con più forza molteplici sfide. Questa fiducia nelle istituzioni comunitarie negli ultimi anni è spiazzata di fronte al moltiplicarsi delle critiche: alcune sono esasperate o demagogiche, ma le difficoltà che mettono a dura prova l'Europa sono innegabili. La circolazione in rete di analisi serie, non schierate politicamente e dal taglio volutamente divulgativo, ha facilitato al pubblico non specialista la comprensione di dati e problemi reali. Fino agli anni '90 gli stati europei rappresentavano il benessere per definizione, primeggiando nelle statistiche su scala mondiale. Oggi le classifiche appaiono rovesciate: anche un lettore poco abituato a leggerli, dai numerosi grafici reperibili può cogliere la curva negativa della ricchezza, della produzione e dell'occupazione che caratterizza i paesi dell'area-euro rispetto al periodo precedente l'adesione ad essa. Perciò, mai come adesso, i temi economici hanno interessato i cittadini europei, aggrediti in prima persona dalla crisi o comunque preoccupati per il futuro.

Da questa platea allargata di osservatori nasce, in modo spontaneo, il gruppo che ha realizzato ll più grande successo dell'euro, documentario no-profit sulla crisi dell'eurozona. Nell'opera, per la prima volta, il tema viene approfondito in modalità “cinematografica”: l'intento è incontrare dal vivo un pubblico diverso dai lettori di pagine e siti che abitualmente lo trattano. Tra le immagini da Atene e le interviste a studiosi italiani - una narrazione pacata e puntuale - emerge la posizione convinta degli autori: le politiche europee sono responsabili  della recessione, l'euro favorisce squilibri economici e ingiustizie sociali. Conclusioni certo non condivise da tutti, ma previste con largo anticipo negli ambienti accademici, temute da personalità come Guido Carli o Giorgio Napolitano, al tempo in cui l'unione monetaria muoveva i primi passi nello Sme, antenato dell'euro. Una realtà alla fine accettata da alcuni protagonisti “pentiti” del processo di unificazione come Frits Bolkestein e Oskar Lafontaine. Romano Prodi, a più riprese, ha ricordato l'assurdità dei vincoli di bilancio imposti agli stati ed ha ammesso che l'euro avvantaggia i più forti, la Germania su tutti. Una dinamica che viene  descritto nel documentario.

Al contrario, Mario Monti è diventato, suo malgrado, l'emblema di chi insiste a ritenere l'euro “un successo”. Infatti è sua la frase del titolo, scelto con amarissima ironia dai registi Matteo Nigro e Francesca Cangiotti. Il paradosso per cui Monti considera un successo aver ridotto la Grecia allo stremo, porta a considerare quanto siano divergenti gli obiettivi e i linguaggi di alcune élites economiche rispetto al vissuto e alle necessità dei popoli. Molti osservatori hanno ormai notato che il “successo” dell'euro è davvero tale nell'ottica di una finanza che vuole soddisfazione a qualsiasi costo. La moneta unica, per questo scopo, è mezzo potente, sostanzialmente attraverso due passaggi: bloccando il cambio, da una parte garantisce il rendimento degli investimenti nei paesi che di capitali più hanno bisogno; dall'altra mette fuori mercato le economie di quegli stessi paesi, ai quali resta quasi solo l'arma della compressione dei salari. In questo modo, l'euro travasa ricchezza dai paesi deboli a quelli forti, dalla base ai vertici della piramide sociale, dai settori produttivi a quelli speculativi  e svuota il modello di benessere e di stato sociale, che pur tra alti e bassi, ha caratterizzato in positivo la seconda metà del '900.

Questi fatti economici sono frutto di interazioni legittime secondo i trattati europei. Il giurista Luciano Barra Caracciolo nota come le cessioni di sovranità da parte degli stati – già dubbie sotto il profilo democratico e costituzionale - non vadano a incrementare una collegialità europea solidale, ma siano funzionali alla “privatizzazione del diritto internazionale”. Ovvero, si portano in Europa le condizioni ingiuste che da decenni mettono in posizione di forza i grandi soggetti finanziari e produttivi multinazionali nei confronti del sud del mondo. L'ipotesi fiduciosa che il liberalismo funzionale alla rendita sia arginato negli ordinamenti statali che difendono il lavoro, si traduce nel suo contrario.

D'altronde, l'idea che lo stato sia divenuto ingombrante, cattivo allocatore di risorse e intralcio allo sviluppo economico è stata vincente nella politica e nell'opinione pubblica degli ultimi trent'anni e si è concorso perciò a smantellarlo, auspice la dottrina europea di Maastricht. La riduzione imposta delle funzioni dello stato e della sua capacità di spesa è stata, paradossalmente, letta al contrario: come prova della sua inefficienza, mentre veniva mantenuta l'immagine mediatica di una sua permanente eccedenza.

Che gli esiti del processo siano deludenti in termini di giustizia sociale, e che sia necessaria una rivalutazione del ruolo dello stato, non lo conclude solo la scuola di pensiero socialista, ma lo ha notato Benedetto XVI. le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato.

[Discorso per la giornata mondiale della pace, 2013]

 

il+ backstage dracma

Oggi, facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado di far fronte alle sfide del mondo odierno. (…) le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle Istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi. (...) Quando l'incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell'esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale. Rispetto a quanto accadeva nella società industriale del passato, oggi la disoccupazione provoca aspetti nuovi di irrilevanza economica e l'attuale crisi può solo peggiorare tale situazione. [Caritas in Veritate, 2009]

Il peggioramento della situazione è chiaro ne Il più grande successo dell'euro, che testimonia  un'aggressione commerciale e finanziaria sofisticata e poco appariscente, attraverso i suoi esiti visibili e rudi: in Grecia manca solo la distruzione fisica, per il resto i risultati sono quelli tipici delle guerre: povertà e fame, medicinali d'urgenza inarrivabili; commercio rarefatto e istituzioni pubbliche chiuse, dalla tv alle università.

Ora il punto è come risollevarsi, non solo in Grecia. Un esito teoricamente possibile, il "più Europa" dell'unione politica, non è seriamente preso in considerazione dalla classe dirigente europea, anche perché l'euro ha ormai accentuato le divergenze d'interessi.

L'uscita dall'euro non va impugnata come un feticcio e nel film il concetto non è particolarmente esaltato. I danni dell'euro compaiono, con dolorosa naturalezza, nella descrizione dell'accaduto, sono storicizzati. La moneta non è mai uno strumento neutro di scambio e questo fatto nel senso comune è poco recepito.

Il tema della moneta come "arma" nei rapporti internazionali è toccato anche nella "Gaudium et Spes" (1965) dove sta scritto, quasi di sfuggita ma con precisione:

 

In campo monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di valore della moneta.

 

Nel caso dell'euro, la “non neutralità” si ha con il già citato annullamento del rischio di cambio (una normale variabile di mercato) che favorisce i creditori. Nonostante ciò - o a causa di ciò - la facilità dei prestiti internazionali è stata come dogmatizzata in Europa. Una possibilità di mercato è divenuta quasi un obbligo, però difficile da onorare, come nel caso della Grecia, che non potendo riequilibrare i conti esportando, si è ritrovata con un grande debito verso l'estero. A questo punto, le istituzioni europee hanno imposto una spietata politica di aggiustamento: svendita del patrimonio pubblico e taglio dei costi, ovvero licenziamenti di massa, compressione dei salari e dei servizi. Imposizioni fallimentari che hanno causato l'ulteriore riduzione del Pil e reso ancor più difficile la restituzione dei prestiti.

In Italia, come ammesso candidamente da Monti e riportato nel documentario, per evitare l'aggravarsi del debito estero, si provvede a “distruggere la domanda interna”, ovvero a ridurre le paghe e ad aumentare le tasse. Queste ricchezze sottratte alla popolazione non sono svanite nel nulla, ma hanno remunerato i detentori di capitali che hanno usato la politica e orientato la legislazione europea in modo da sottrarsi al rischio commerciale di veder vanificato il rendimento del loro impiego.

Sicuramente tutto ciò rientra nel più grande problema di una giustizia sociale mai acquisita una volta per tutte, nemmeno in Europa; è conseguenza della gestione standard del capitale, che cerca la soddisfazione più facile e rapida possibile e che, senza un'efficace regolazione, “consuma” le persone come una qualsiasi risorsa.

In tempi abbastanza lontani, certe dinamiche erano già correnti e ben descritte, la tecnologia attuale le ha solo facilitate. Di Giuseppe Toniolo, figura di spicco del pensiero economico italiano alla fine dell'800, è ricordato questo punto di vista: "Assertore della libertà di commercio, Toniolo dubitava invece dell'utilità della libera circolazione dei capitali, convinto che la finanza fosse strumentale all'economia reale e mai dovesse ridursi a mero mezzo di arricchimento per pochi percettori di rendita. Questi aspetti del pensiero di Toniolo sono tra quelli oggi meno ripresi (si richiama semmai la dottrina della sussidiarietà) ma sono, forse, quelli più utili a una riflessione sulla nostra epoca". (Il Sole 24 Ore, 15.04.2014).

La libera circolazione dei capitali è invece vista come una conquista dell'Unione Europea. Ma il problema, come posto da Toniolo, non è datato, anzi è accentuato, in vigenza dell'euro.

 

Nel dettato europeo, molti fattori incidono negativamente e senza criterio di giustizia sui livelli esistenziali delle persone: l'orientamento competitivo prevalente, l'esclusione di trasferimenti fiscali verso gli stati in deficit (previsto invece, per esempio, nel sistema statunitense), il divieto di “salvataggio” finanziario tra stati membri, una banca centrale fortemente orientata alla tutela delle rendite anziché all'occupazione e infine la politica monetaria, qui descritta sommariamente. Tali fattori incidono più di tutte le pecche che si imputano alla classe politica e  alla burocrazia, mentre la tassazione esosa dipende principalmente da essi, non dagli sprechi o dalla corruzione, come abitualmente ritenuto e suggerito dai media.

 

In un mondo complesso come l'attuale, il pensiero sociale della Chiesa aiuta l'uomo a preservare la sua dignità, indicando quando essa è a rischio, anche per condizioni di sistema. Osservando la storia europea recente, molti di questi rischi appaiono aver già prodotto i loro effetti negativi. Rilevarli correttamente, passando cioè da osservazioni di principio alla verifica delle decisioni istituzionali, non è semplice. Negli ultimi anni sembra anche perso l'allenamento a farlo. Forse nel nostro caso fa schermo un sincero ideale europeista, il quale però appare contraddetto, se non fallito, alla prova dei fatti. In generale, c'è un problema di "pensiero unico" - non solo nell'etica e nei costumi, ma anche in economia - che non viene messo in discussione. E questo pensiero pervade l'impianto europeo da Maastricht in poi, non è solidale e alla fine non promuove nemmeno la mera crescita materiale.

In direzione corretta riguardo ai temi trattati ci soccorre ancora un'osservazione attualissima di Benedetto XVI

 

È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. [Discorso per la giornata mondiale della pace, 2013]

 

Lo stesso sguardo hanno cercato di avere autori e collaboratori de “Il più grande successo dell'euro”. Dedicare gratuitamente tempo e professionalità per produrlo e diffonderlo, è stato per loro l'esito di una vocazione civica.

Costato meno di seimila euro – a sola copertura di spese vive, nessuno è stato pagato – il film è in parte autofinanziato e in parte ha attinto ad una colletta online. Le proiezioni, spesso seguite da dibattiti appassionati, si tengono in piccoli circoli come in grandi cinema, promosse da associazioni culturali e politiche o per iniziativa di singoli. Il documentario è concesso a chiunque lo richieda per eventi pubblici.

L'esperienza del documentario, per chi l'ha vissuta, ha un doppio valore educativo: persone di estrazione politica e sociale diversa, cattolici e laici – realizzandolo hanno trovato un punto di vista comune e forte, valoriale e non ideologico, rispetto ad importanti avvenimenti sociali.  Il secondo beneficio: muovere le persone, portarle in uno spazio pubblico per interrogarsi nella prospettiva del bene comune, è un incentivo a riprendere o approfondire un impegno sociale. Qui lo staff del documentario svolge una funzione convintamente sussidiaria. Anche per questo il filmato non è stato subito messo in rete: sarebbe stato più comodo, ma si è preferita la via dell'incontro, non virtuale, tra persone.

 

 

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